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Giornalismo

«Una stagione di veleni: serve controinformazione»

Da un anno direttore di "Avvenire", Marco Tarquinio analizza il panorama dell'informazione e sottolinea il ruolo del quotidiano cattolico a partire dal recente messaggio dell'Arcivescovo

di Pino NARDI Redazione

17 Novembre 2010

Qual è il contributo di Avvenire per formare una matura opinione pubblica nella comunità cristiana? «Indicare con chiarezza i punti nodali del dibattito in corso sui grandi temi del vivere insieme, qui e ora, e della preparazione del futuro. I cristiani sono cittadini responsabili ed esigenti: i valori fondativi – a cominciare dal rispetto assoluto e tenero per la vita umana e per la dignità di ogni persona – devono tradursi, per tutti, in comportamenti personali coerenti e rispecchiarsi, per chi ha responsabilità pubbliche, in condotte esemplari e in opzioni e progetti politici limpidi, lungimiranti e mai demagogici». Marco Tarquinio da un anno è alla guida di Avvenire. Il direttore raccoglie lo stimolo del cardinale Tettamanzi a riflettere sulla professione e sul ruolo del quotidiano dei cattolici in un panorama dell’informazione pieno di tanti veleni.

Il Cardinale sottolinea il modo scorretto di fare informazione. Quanto si sta imbarbarendo il giornalismo?
Molto, troppo. E il dilagare di un’informazione superficiale e al curaro ne è una sconsolante conferma. Ma ci sono anticorpi e anche qualche esempio convincente di un’informazione orientata davvero al servizio dei lettori, cioè capace di rispettare la verità dei fatti e della vita delle persone. E c’è, forse, una ritrovata capacità di reazione della categoria: la recentissima sentenza unanime dell’Ordine dei giornalisti di sanzione delle falsità pubblicate da Vittorio Feltri contro Dino Boffo ne è segno.

«Opinione pubblica territorio da saccheggiare con un’azione irresponsabile di costrizione del consenso»: i poteri – politico ed economico – tendono a “narcotizzare” le coscienze?
È una tentazione potente e purtroppo anche una pratica ricorrente, soprattutto – ma non solo – in tv. La risposta di lettori, spettatori e ascoltatori deve essere più che mai il "saper scegliere": non tutti i giornali, i tg e i gr sono uguali… Avere testa, significa avere occhi. E saper uscire anche dalle abitudini di acquisto o di telecomando.

L’Arcivescovo riconosce il ruolo di grande responsabilità di Avvenire «per garantire la continua, vitale e virtuosa rigenerazione della democrazia nel nostro Paese». Un compito che il quotidiano fa proprio tutti i giorni: con quali indicazioni motiva i suoi giornalisti a vivere questa responsabilità?
Sono profondamente grato al cardinale Tettamanzi per questo riconoscimento di ruolo che è anche uno sprone potente. Ho la grande chance di guidare una squadra di professionisti di grande valore e l’Avvenire che costruiamo ogni giorno è il frutto di un giornalismo d’indagine e di proposta. Chiedo di “andare sui fatti” e di farlo con curiosità e profondità, con rispetto per coloro che ne sono protagonisti eppure senza timori reverenziali. Chiedo di concentrarci ad esempio – e non è un esempio casuale – sulle conseguenze concrete delle scelte di politica economica (si pensi alla battaglia che in solitudine abbiamo ingaggiato, e vinto, sul tema della disabilità) e non solo sulle chiacchiere di contorno.

Quale servizio può rendere la comunicazione alla vita della Chiesa, in un panorama informativo che spesso deforma e strumentalizza?
Possiamo far circolare le idee-forza che la Chiesa italiana elabora e incarna nella quotidianità della vita delle comunità cristiane e dell’intera società. È il principale modo che abbiamo per renderle contagiose, queste idee. C’è sete di bontà e di bellezza e c’è bisogno di generosità e di verità. Oggi la vera controinformazione è questa.

Alleanza e vicinanza tra Avvenire e Chiesa ambrosiana anche con Milano Sette. Come valuta l’esperienza?
Mi torna in mente un aggettivo che ho appena usato ad altro proposito: esemplare. Per noi di Avvenire, giornale nazionale con testa e cuore a Milano, questo lavorare insieme è motivo di gioia e di orgoglio. Ed è bello pensare che abbiamo davanti un cammino impegnativo e appuntamenti assai importanti da affrontare fianco a fianco.

Chi lavora ad Avvenire – da laico cristiano – partecipa alla missione ecclesiale, anche nel trattare temi spesso dimenticati. Da un anno dirige il quotidiano: quale è il suo bilancio?
Ho il senso del limite, dei miei limiti, e so che qualunque lavoro può essere fatto meglio. Ma sono felice di essere riuscito a far risaltare lo sguardo originale che da sempre Avvenire riesce a esercitare e a prestare ai suoi lettori. E il fatto di poter contare su antenne dirette e sensibili nel mondo cattolico mi ha aiutato enormemente in questo impegno di guardare dove altri guardano poco e male. Così, nei mesi che abbiamo alle spalle, abbiamo potuto e saputo raccontare le persecuzioni e le discriminazioni che piagano tanti Paesi, purtroppo in certe occasioni e situazioni anche il nostro (penso alla sfida dell’inclusione dei nuovi cittadini), e non ci siamo mai fermati alla scorza retorica e fuorviante del racconto "strappacuore". Ma non abbiamo fatto mai mancare l’attenzione anche al tanto di buono che accade in Italia e nel mondo, alle “buone pratiche” che affermano la cultura della solidarietà, della convivenza civile, della legalità. Ringrazio i miei colleghi per questo coraggioso lavoro, e coloro che – leggendo e sostenendo Avvenire – ci hanno dato la forza per farlo. Qual è il contributo di Avvenire per formare una matura opinione pubblica nella comunità cristiana? «Indicare con chiarezza i punti nodali del dibattito in corso sui grandi temi del vivere insieme, qui e ora, e della preparazione del futuro. I cristiani sono cittadini responsabili ed esigenti: i valori fondativi – a cominciare dal rispetto assoluto e tenero per la vita umana e per la dignità di ogni persona – devono tradursi, per tutti, in comportamenti personali coerenti e rispecchiarsi, per chi ha responsabilità pubbliche, in condotte esemplari e in opzioni e progetti politici limpidi, lungimiranti e mai demagogici». Marco Tarquinio da un anno è alla guida di Avvenire. Il direttore raccoglie lo stimolo del cardinale Tettamanzi a riflettere sulla professione e sul ruolo del quotidiano dei cattolici in un panorama dell’informazione pieno di tanti veleni.Il Cardinale sottolinea il modo scorretto di fare informazione. Quanto si sta imbarbarendo il giornalismo?Molto, troppo. E il dilagare di un’informazione superficiale e al curaro ne è una sconsolante conferma. Ma ci sono anticorpi e anche qualche esempio convincente di un’informazione orientata davvero al servizio dei lettori, cioè capace di rispettare la verità dei fatti e della vita delle persone. E c’è, forse, una ritrovata capacità di reazione della categoria: la recentissima sentenza unanime dell’Ordine dei giornalisti di sanzione delle falsità pubblicate da Vittorio Feltri contro Dino Boffo ne è segno.«Opinione pubblica territorio da saccheggiare con un’azione irresponsabile di costrizione del consenso»: i poteri – politico ed economico – tendono a “narcotizzare” le coscienze?È una tentazione potente e purtroppo anche una pratica ricorrente, soprattutto – ma non solo – in tv. La risposta di lettori, spettatori e ascoltatori deve essere più che mai il "saper scegliere": non tutti i giornali, i tg e i gr sono uguali… Avere testa, significa avere occhi. E saper uscire anche dalle abitudini di acquisto o di telecomando.L’Arcivescovo riconosce il ruolo di grande responsabilità di Avvenire «per garantire la continua, vitale e virtuosa rigenerazione della democrazia nel nostro Paese». Un compito che il quotidiano fa proprio tutti i giorni: con quali indicazioni motiva i suoi giornalisti a vivere questa responsabilità?Sono profondamente grato al cardinale Tettamanzi per questo riconoscimento di ruolo che è anche uno sprone potente. Ho la grande chance di guidare una squadra di professionisti di grande valore e l’Avvenire che costruiamo ogni giorno è il frutto di un giornalismo d’indagine e di proposta. Chiedo di “andare sui fatti” e di farlo con curiosità e profondità, con rispetto per coloro che ne sono protagonisti eppure senza timori reverenziali. Chiedo di concentrarci ad esempio – e non è un esempio casuale – sulle conseguenze concrete delle scelte di politica economica (si pensi alla battaglia che in solitudine abbiamo ingaggiato, e vinto, sul tema della disabilità) e non solo sulle chiacchiere di contorno.Quale servizio può rendere la comunicazione alla vita della Chiesa, in un panorama informativo che spesso deforma e strumentalizza?Possiamo far circolare le idee-forza che la Chiesa italiana elabora e incarna nella quotidianità della vita delle comunità cristiane e dell’intera società. È il principale modo che abbiamo per renderle contagiose, queste idee. C’è sete di bontà e di bellezza e c’è bisogno di generosità e di verità. Oggi la vera controinformazione è questa.Alleanza e vicinanza tra Avvenire e Chiesa ambrosiana anche con Milano Sette. Come valuta l’esperienza?Mi torna in mente un aggettivo che ho appena usato ad altro proposito: esemplare. Per noi di Avvenire, giornale nazionale con testa e cuore a Milano, questo lavorare insieme è motivo di gioia e di orgoglio. Ed è bello pensare che abbiamo davanti un cammino impegnativo e appuntamenti assai importanti da affrontare fianco a fianco.Chi lavora ad Avvenire – da laico cristiano – partecipa alla missione ecclesiale, anche nel trattare temi spesso dimenticati. Da un anno dirige il quotidiano: quale è il suo bilancio?Ho il senso del limite, dei miei limiti, e so che qualunque lavoro può essere fatto meglio. Ma sono felice di essere riuscito a far risaltare lo sguardo originale che da sempre Avvenire riesce a esercitare e a prestare ai suoi lettori. E il fatto di poter contare su antenne dirette e sensibili nel mondo cattolico mi ha aiutato enormemente in questo impegno di guardare dove altri guardano poco e male. Così, nei mesi che abbiamo alle spalle, abbiamo potuto e saputo raccontare le persecuzioni e le discriminazioni che piagano tanti Paesi, purtroppo in certe occasioni e situazioni anche il nostro (penso alla sfida dell’inclusione dei nuovi cittadini), e non ci siamo mai fermati alla scorza retorica e fuorviante del racconto "strappacuore". Ma non abbiamo fatto mai mancare l’attenzione anche al tanto di buono che accade in Italia e nel mondo, alle “buone pratiche” che affermano la cultura della solidarietà, della convivenza civile, della legalità. Ringrazio i miei colleghi per questo coraggioso lavoro, e coloro che – leggendo e sostenendo Avvenire – ci hanno dato la forza per farlo. – – Il messaggio dell’Arcivescovo per la Giornata di “Avvenire” (https://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/apps/docvescovo/files/1554/giornata_Avvenire.pdf) – Colombo: «I mass media formino una buona opinione pubblica» – Acquaviva: «Una lezione ai giornalisti e una scossa ai lettori»