Sirio 26-29 marzo 2024
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Testimonianze

Fare scuola in un presente complesso

L’esperienza di Scuola Sicomoro I Care di Milano e Lodi raccontata dai direttori Simone Poli e padre Eugenio Brambilla

30 Marzo 2021

Scuola Sicomoro I Care di Milano e Lodi è un progetto, promosso da Fondazione Sicomoro per l’Istruzione Onlus di Milano, impegnato nel contrasto alla dispersione scolastica.

«Diritto e sicurezza sono i due principi che muovono il nostro approccio all’emergenza attuale – dichiara Simone Poli, direttore della Fondazione Sicomoro per l’Istruzione Onlus di Milano -. Abbiamo costruito un approccio tutelante la salute degli alunni, delle loro famiglie e del nostro staff non solo con procedure rigorose, ma anche con una lettura responsabile della deroga concessa dalla normativa vigente. Questo per salvaguardare il diritto all’inclusione scolastica dei nostri studenti, soggetti BES che, se dovessero uscire dal contesto di frequenza, sarebbero persi. Diritto e sicurezza come punti fermi, quindi, per trovare quei compromessi necessari a proseguire il nostro percorso didattico.  Abbiamo creato una modalità che ci consente di continuare a tenere i ragazzi ancorati alla presenza e di essere rispettosi di un impegno civile comune che è la riduzione massima dei rischi. A Lodi, dove esiste solo un’aula e, quindi, gli spazi non ci permettono di  separare ragazzi e ragazze in più sottogruppi, abbiamo deciso di fare frequenza alternata, un giorno in presenza e un giorno in DAD. Questo ha comportato una notevole complessità logistica per potere garantire sia la presenza che la didattica a distanza. A Milano abbiamo chiesto alle famiglie dei nostri studenti se fossero consapevoli della possibilità di fare la didattica in presenza. A quelle che l’hanno rifiutata è stata garantita la didattica a distanza. Per gli studenti le cui famiglie hanno optato per la didattica in presenza abbiamo creato, disponendo di due aule, due gruppi di quattro / cinque studenti che vengono a scuola in orari diversi, evitando così il rischio di assembramento  che è più forte all’esterno dell’edificio scolastico. In questo modo riusciamo a mantenere una frequenza giornaliera costante a Milano e alternata a Lodi»

Rimettere in gioco la cultura

«La sfida che ci chiamano ad affrontare i nostri studenti è provare a leggere con loro Dante o la Costituzione italiana. La sfida è far sì che la loro parola diventi parola condivisa – sottolinea padre Eugenio Brambilla, presidente della Fondazione Sicomoro per l’Istruzione Onlus e direttore della Scuola Sicomoro I Care di Milano e Lodi -. Il progetto di Scuola Sicomoro I Care esiste perché è stato costruito un patto fortissimo con la scuola, Non mi stancherò mai di ripetere che senza la collaborazione forte e stretta con la scuola, senza questa sinergia, questo progetto non avrebbe motivo di esistere. Una delle esperienze più belle che ho vissuto in questi anni è stata quella di incontrare, in periferia, insegnanti  straordinari, sulla breccia, dirigenti scolastici altrettanto capaci, aperti. Abbiamo sempre ritenuto necessario il dialogo con la scuola per evitare che il nostro progetto intervenga soltanto sulle emergenze. Siamo chiamati con la scuola a costruire possibilità, occasioni, opportunità di cultura, opportunità di esercizio di diritti e di doveri o, come diceva don Milani, “opportunità di sovranità della parola” anche per quei ragazzi che, per ragioni diverse, si sono persi nei loro percorsi scolastici. La nostra progettualità nasce anche dalla storia di alcuni quartieri periferici dove sappiamo bene che il confine tra il rumore assordante e la parola è estremamente forte, dove, a volte, la privazione della parola porta  al rischio di essere imbrogliati. Il tema della cultura ai più deboli è per noi centrale, così come lo è stato nell’esperienza milaniana».

Ma come lavorare in questo scenario? «Lo stesso don Milani ci ha regalato dei preziosi suggerimenti – prosegue Brambilla -. Per esempio lavorare sulla etimologia delle parole, sulle lingue, quella italiana certo, ma anche quella straniera, insistere sulla lettura e sull’apprendimento, sull’uso del linguaggio nella certezza che cittadini uguali si diventa nella misura in cui la parola diventa sovrana. Cosa significa ridare la parola per essere cittadini “uguali” e maturi? Questa domanda ci ha aiutato a strutturare il progetto. All’interno della nostra esperienza scolastica abbiamo creato quelli che ci piace definire come “laboratori della parola”, luoghi di crescita della conoscenza e della cultura contro quel maledetto “non lo so” che tanto spesso udiamo pronunciare dai nostri ragazzi. Per questo ci piace iniziare l’anno scolastico indicando in un tabellone le parole che sono “proibite” alla scuola della seconda opportunità. Fra queste ci sono “non lo so”, “non sono capace”, “non valgo niente”. Occorre provare insieme a trasformare questo momento del “non lo so”, in parole capaci di motivare, di ridare vitalità alla persona».

«Strutturiamo l’anno scolastico in quattro tempi molto forti: accoglienza, fiducia, responsabilità e raccolta – spiega il direttore -. Dentro questi quattro tempi andiamo a costruire la nostra proposta didattica insieme agli insegnanti. Vogliamo facilitare e promuovere la capacità dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze di dominare la parola. E per farlo, spesso, ci piace giocare con la parola: partire da “democrazia” per arrivare a “pandemia” per, infine, capire che cos’è la “demografia”».

«Come ha scritto un docente, la scuola “deve essere il giardino delle parole” – continua -. Quest’anno abbiamo fatto un quadernetto delle etimologie. Dico ai ragazzi che comprendere il significato delle parole ti evita di essere ingannato. E mi colpisce sempre lo stupore con cui mi guardano, quando passo a parlare dalla democrazia alla pandemia. “Ma è così semplice?”, è la loro reazione. Sì, rispondo, basta concentrarsi, basta avere attenzione, provarci e riprovarci. Una seconda modalità con cui ci piace lavorare sulla parola è rappresentata dagli “incontri in aula o fuori aula”. Invitiamo periodicamente professionisti, figure istituzionali e non, a raccontarci le loro esperienze. Chi viene a trovarci alla scuola sa di doversi sottoporre a un fuoco incrociato di domande, a volte provocazioni, dei nostri alunni Se ragioniamo su parole come “democrazia” e “sovranità” vogliamo poterci confrontare con sindaci e amministratori cittadini.

Per parlare di “cura” abbiamo invitato in classe un’infermiera, qualcuno che la “cura” la vive sulla propria pelle. Il confronto con queste figure è una delle esperienze più forti perché la sfida più grande per ridare loro la parola è toglierli da quell’atteggiamento di imbarazzo che di norma qualifica i nostri studenti come soggetti “ingestibili”».

«Un’altra esperienza particolarmente significativa è stata, qualche anno fa, l’incontro con un giornalista – racconta ancora -. In quell’occasione abbiamo strutturato l’aula assegnando agli studenti diversi ruoli: chi faceva le foto, chi le interviste. Siamo andati all’università Statale per assistere a un’assemblea pubblica e qui i ragazzi della Scuola della Seconda Opportunità  hanno preso la parola, intervenendo e raccontando che cosa voleva dire per loro fare scuola e crescere nella cultura. Un’altra esperienza più recente è stata quella del gioco dei ruoli. Stiamo studiando la costituzione italiana, in particolare quella che riguarda l’ordinamento della repubblica, i poteri dello stato. Che cosa abbiamo fatto? In aula abbiamo assegnato agli studenti i diversi ministeri e ciascuno di loro è diventato “ministro”. Ci è sembrato un altro modo per lavorare sul protagonismo e sulla responsabilità perché bisogna essere preparati contro quel maledetto “non sono capace”, contro quel maledetto “non lo so”. Ci manca, in questo tempo di pandemia, l’esperienza all’estero, quella vissuta grazie alle gite scolastiche. Occasioni che ci hanno permesso di portare alunni che non escono dal loro quartiere in un contesto europeo. Perché compito della nostra scuola è quello di aprire loro il mondo, mostrare loro che esiste qualcosa di grande che loro possono abitare. Questa è la sfida: promuovere cultura, ma una cultura che sia sempre connessa con la vita.  Il lavoro fatto in questi anni ha sempre voluto sottolineare questo aspetto. Sapere, conoscere, muoversi ma allo stesso tempo verificare, incontrare, provare a sperimentare esperienze di vita forti. Ridare la parola è impresa che costa fatica, ma su questo non si deve mollare perché è il futuro che ci deve stare a cuore».