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Sulle donne violenze senza freni

In Lombardia il 10% dei casi nazionali. In aumento il numero delle aggressioni che sfociano in omicidi. I dati sfatano alcuni luoghi comuni: il 96% degli episodi avviene in casa, nove volte su dieci il violentatore è italiano. La Caritas Ambrosiana: «Il fenomeno non è nuovo, ma sta diventando preoccupante. È un'emergenza anche educativa e culturale»

5 Giugno 2008

20/02/2008

di Pino NARDI

Da sempre quella sulle donne, nelle sue varie forme, è una delle violenze più gravi. Ma oggi c’è un fatto nuovo: è in aumento quella estrema, gli omicidi. Lo sostiene suor Claudia Biondi, responsabile dell’Area maltrattamento e grave disagio della donna della Caritas Ambrosiana. I dati disponibili che illustrano il fenomeno sono sempre relativi, tanto che c’è un progetto della Caritas per un Osservatorio da realizzare con ricercatori universitari.

Attualmente in Lombardia si parla di 115 mila casi di violenze, il 10% sul totale nazionale, di cui il 96% avviene in famiglia. In 9 casi su 10 l’aggressore è italiano, tra i 28 e i 57 anni. In crescita il numero di donne straniere che chiedono aiuto. Da anni suor Claudia è in prima linea accanto a sofferenze e drammi, spesso nascosti nelle mura di casa: ci aiuta a conoscere più da vicino questa realtà.

La violenza sulle donne è un fenomeno gonfiato dai mass media? È diventata un’emergenza?
Non è un fenomeno nuovo, purtroppo attraversa la storia e tutte le culture. Usare violenza, nei vari aspetti, ha sfaccettature molto diverse. Le botte ci sono sempre state. Oggi però estremamente preoccupanti sono gli omicidi delle donne, in grande aumento. Che ci sia un’attenzione maggiore da parte dei mass media è vero. Ben venga se è corretta, se non è scandalistica, se non dà interpretazioni inopportune, se quindi aiuta alla riflessione e a un cambiamento culturale. Senz’altro l’attenzione si è un po’ focalizzata e si scopre il fenomeno. L’altro aspetto è la violenza all’interno delle relazioni di coppia, del maltrattamento nella “famiglia”, non solo quella regolarmente costituita, ma anche nelle convivenze. E poi la prostituzione. La donna-oggetto, straniera, priva di potere, è sempre più usata per il soddisfacimento del proprio piacere attraverso il pagamento. Con questo ci si mette l’anima in pace: si paga, si dice che sono libere e “ci stanno”. Insomma, sono varie le forme, come quella economica, psicologica, la sottomissione, che fanno dire che la donna oggi è oggetto di violenza ad ampio spettro.

La maggior parte dei casi avviene in famiglia: c’è un problema educativo…
Senz’altro, educativo e culturale. La famiglia vive in un contesto culturale molto preciso, c’è un’influenza reciproca, non si può parlare di educazione senza considerare l’ambiente culturale. E non si può parlare di questo contesto senza pensare a quello che comunque continua ad alimentarlo, come alcune agenzie educative, tra cui scuola, parrocchie e gruppi giovanili.

Le denunce delle donne sono in crescita, ma rimangono scarse. Come lo valuta?
Sono diversi i motivi. Intanto non è semplice psicologicamente per una donna andare a denunciare il proprio convivente o marito. In alcuni casi, figlio, fratello o padre. Perché significa ammettere un fallimento rispetto al proprio progetto affettivo, c’è sempre un senso di colpa, un sentirsi comunque responsabile: «Non è solo lui sbagliato, lo sono anch’io. Quindi lo sono soprattutto io». Sono meccanismi difficili da scardinare, ma che troviamo in gran parte delle donne che incontriamo. Inoltre c’è l’illusione che i maltrattamenti siano solo episodici. Per cui si aspetta tanto prima di arrivare a una presa di posizione. La denuncia è quella più difficile perché significa che non gestisci più la relazione, ma l’affidi a qualcun altro all’esterno.

Ma le istituzioni sono preparate?
Questo è il punto: non trovare nelle forze dell’ordine una grande comprensione. Nei casi di violenza nei quali intervengono, spesso dicono «fate pace, lasciate perdere, ripensateci». Già la situazione è difficile, poi si trovano di fronte chi dovrebbe tutelarle che non incoraggia, ma anzi scoraggia o non le prende seriamente in considerazione.

Dove invece sono favorite?
Le denunce che abbiamo avvengono quando la donna è portata in ospedale, spesso (è uno dei progetti che stiamo tentando di portare avanti) trova al pronto soccorso persone che sanno ascoltare, capire, indirizzare, dare la forza di reagire per difendersi.

Spesso si fa un gran clamore nei casi di stupro a opera di un clandestino. Si rischia di generalizzare, creando la paura verso lo straniero…
Il maltrattamento attraversa tutte le culture. Lo stupro e il pensare la donna come oggetto sono anche della nostra realtà. Quando si dice che sono gli stranieri a violentare le donne, si dimenticano tutte le situazioni di violenza, spesso di gruppo, come quelle degli ultimi anni. Sono tanti episodi, soprattutto nei confronti di ragazzine, il che è ancora peggio. Significa che un adolescente di 14-16 anni agisce così nei confronti di “un’amica”, un comportamento che rientra nel proprio pensiero come qualcosa che si può fare. Quindi non è un problema che riguarda solo gli stranieri. È chiaro che alcune situazioni di forte disagio, come può essere vivere in una baraccopoli, provocano più violenza. Il disagio crea disagio. Ma non va associato con l’essere stranieri: la violenza sulle donne è trasversale a tutte le culture e a tutte le fasce sociali. Troviamo molto maltrattamento anche nelle famiglie di ceto alto, di liberi professionisti.