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Un progetto per reinserire gli ex carcerati e le famiglie

"Prometeo" ha lo scopo di riavviare nel mondo del lavoro ex detenuti e familiari, assicurando un percorso di accompagnamento e di autonomia

6 Ottobre 2008

08/10/2008

di Luisa BOVE

Nel settembre scorso, dopo una fase preliminare, ha preso il via il progetto “Prometeo” per il reinserimento lavorativo di detenuti ed ex. Capofila è il Comune di Milano, mentre i partners sono la Casa della carità, Galdus, Piazza del lavoro e l’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) del ministero della Giustizia. «Ora stiamo prendendo a carico le persone detenute, ex detenute o che stanno scontando pene alternative al carcere», spiega Demo Collu, responsabile di “Area lavoro” della Casa della carità.

Ma la «peculiarità» di questo progetto sta nell’interessarsi anche della situazione familiare spesso «compromessa» dalla reclusione. «Questo significa analizzare i problemi del nucleo familiare e intervenire in base ai bisogni, anche favorendo una riconciliazione». Può capitare di affrontare la questione abitativa o la scuola per i figli, «di volta in volta si valuta condividendo con loro un percorso di autonomia. È fondamentale infatti che le persone siano partecipi, altrimenti il progetto è destinato a fallire».

“Prometeo” opera oggi attraverso tre sportelli sul territorio «per essere più vicini alla popolazione». C’è quello dell’Area lavoro della Casa della carità in zona Crescenzago; quello gestito da Galdus in zona Corvetto, «con il quale abbiamo condiviso un approccio metodologico e le strategie di intervento», e lo sportello Celav del Comune di Milano. In particolare Galdus interviene quando nascono esigenze formative, anche personalizzate, mentre per le questioni legali, che interessano spesso detenuti e familiari, sono affidate agli operatori della Casa della carità. I rapporti con il mondo del lavoro e in particolare con le imprese sono invece curati dall’agenzia interinale Piazza del lavoro.

Il tentativo è quello di creare «una rete sociale di sostegno, accompagnamento e autonomia – dice Collu -. Siamo convinti che se si settorializzano troppo gli interventi non si conclude niente e si sprecano risorse. Invece èimportante una concertazione tra i diversi servizi». Il lavoro in “rete” consente inoltre «una conoscenza più specifica del territorio, delle situazioni familiari e degli operatori».

Per inserire nel mondo del lavoro detenuti ed ex, continua il responsabile, «noi valorizziamo le esperienze professionali pregresse e quando non ci sono proponiamo corsi di formazione». Lo scopo è quello di «rimetterli in pista a partire dalle loro capacità e competenze (anche informali) rendendole compatibili con le esigenze del mercato. Scopriamo con loro le attitudini, simuliamo colloqui di lavoro e li convinciamo ad accettare un posto anche se di livello più basso, perché è un modo per riprendere il cammino».

Quello che svolgono gli operatori degli sportelli è dunque un lavoro «fatto di accompagnamento concreto, quotidiano e di continua mediazione tra la società civile, l’impresa e la famiglia». Il progetto si concluderà nel marzo 2010, con l’obiettivo di inserire almeno 30 detenuti e altrettanti nuclei familiari.