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Reportage

Viaggio nel campo rom del Ponte Bacula

Siamo andati a vedere come vivono le 150 persone insediate sotto il cavalcavia milanese, tra degrado, emarginazione e una voglia di "normalità" alimentata dalla solidarietà dei Padri Somaschi, della Caritas, della Casa della Carità, della parrocchia di Sant'Elena e dell'associazione "Segna via"

Silvio MENGOTTO Redazione

12 Marzo 2009
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Il campo rom dislocato sotto il cavalcavia Bacula si suddivide in tre blocchi collocati sotto le arcate del lungo e rumoroso cavalcavia. Chi transita sopra con automobili, bus, motorini, non può immaginare che sotto il ponte brulichi una comunità rom che ha costruito fatiscenti baracche di legno. Molti di loro hanno lasciato la Romania perché la loro casa in muratura è stata distrutta dalle impetuose alluvioni di due anni fa nel loro Paese. Contrariamente a una falsa convinzione, molti rom in Romania vivono non nelle baracche ma in normali case in muratura. Valerio Pedroni, colonna del gruppo “Segna via”, è conosciuto da anni al campo. I bambini lo accolgono con un sorriso. Con lui c’è don Matteo Panzeri che ogni sabato pomeriggio porta gli adolescenti del suo oratorio a giocare con i coetanei rom in un campetto adiacente all’insediamento costruito quattro anni fa. Sono stati sgomberati diverse volte, eppure – dice Valerio Pedroni – «sono automaticamente tornati. Anche l’ultima volta, quando per scoraggiare un nuovo insediamento sono state collocate delle grosse travi di cemento». Oggi al campo vivono 150 persone, bambini e ragazzi compresi. Di questi 110 circa provengono dallo sgombero di via Bovisasca della scorsa primavera. Girando tra le baracche si capisce come si sia di fronte ad una realtà da terzo mondo dove le persone vivono in uno stato di forte degrado, esclusione sociale e forte emarginazione, anche perché lasciati a se stessi. Il prato, dove si accumula immondizia, di notte pullula di topi. Il campo rom dislocato sotto il cavalcavia Bacula si suddivide in tre blocchi collocati sotto le arcate del lungo e rumoroso cavalcavia. Chi transita sopra con automobili, bus, motorini, non può immaginare che sotto il ponte brulichi una comunità rom che ha costruito fatiscenti baracche di legno. Molti di loro hanno lasciato la Romania perché la loro casa in muratura è stata distrutta dalle impetuose alluvioni di due anni fa nel loro Paese. Contrariamente a una falsa convinzione, molti rom in Romania vivono non nelle baracche ma in normali case in muratura. Valerio Pedroni, colonna del gruppo “Segna via”, è conosciuto da anni al campo. I bambini lo accolgono con un sorriso. Con lui c’è don Matteo Panzeri che ogni sabato pomeriggio porta gli adolescenti del suo oratorio a giocare con i coetanei rom in un campetto adiacente all’insediamento costruito quattro anni fa. Sono stati sgomberati diverse volte, eppure – dice Valerio Pedroni – «sono automaticamente tornati. Anche l’ultima volta, quando per scoraggiare un nuovo insediamento sono state collocate delle grosse travi di cemento». Oggi al campo vivono 150 persone, bambini e ragazzi compresi. Di questi 110 circa provengono dallo sgombero di via Bovisasca della scorsa primavera. Girando tra le baracche si capisce come si sia di fronte ad una realtà da terzo mondo dove le persone vivono in uno stato di forte degrado, esclusione sociale e forte emarginazione, anche perché lasciati a se stessi. Il prato, dove si accumula immondizia, di notte pullula di topi. Relazioni positive Eppure in queste condizioni i Padri Somaschi, “Segna via”, Caritas e Casa della Carità, don Matteo Panzeri e altri hanno tessuto importanti relazioni che continuano. Una decina di minori in età scolare frequentano le scuole del territorio, quelle di via Brocchi e di via Bodio. Alcuni adulti hanno un lavoro regolare. Valerio conferma la frequenza scolastica dei minori: “a quasi tutti i bambini piace andare a scuola. L’inserimento nelle scuole del territorio funziona. I genitori sono ben animati nel sostenere e nel portare avanti la frequenza scolastica. Il problema è che la situazione di degrado, i ripetuti annunci di sgomberi causano una tensione che mette a rischio tutti questi processi positivi”. Oggi Giannina, che frequenta la seconda elementare, è rimasta a casa per accudire la baracca. Sorride e dice che le piace molto matematica, italiano e, soprattutto, disegno. Le piccolissime gemelle Diana e Clara accompagnano i visitatori nella loro buia baracca per mostrare la loro sorellina Sara che non si può muovere dal letto perché paraplegica. La mamma è in città per chiedere l’elemosina. C’è un discreto numero di donne che usufruiscono degli accompagnamenti ai servizi sanitari. Ma subito si capisce che, nel campo, le donne sono il motore. «E’ la donna – continua Valerio Pedroni – che si sveglia presto al mattino, prepara la colazione ai più piccoli, li accompagna a scuola, si procaccia qualche soldo con l’elemosina, torna in baracca per pulirla e sistemarla, cucina e aspetta il ritorno dei figli più grandi e del marito. Hanno una vita attivissima e pesante. Per un futuro che sia per loro migliore occorre investire su queste donne». I bambini amano essere fotografati, lo chiedono spesso ai visitatori.Emblematica la scritta su un muro che fa da sfondo ad una foto di gruppo: “Ama la vita che hai”.