Share

Intervista

Qualità della vita, obiettivo politico

Il punto di vista di Alessandro Zaccuri, giornalista, scrittore e padre di famiglia, sul documento di associazioni, gruppi e movimenti ecclesiali in vista delle Amministrative: «La casa, l’istruzione, la sanità: bisogni fondamentali da garantire. La città ha una responsabilità nei confronti del Paese e verso se stessa: ritornare un crocevia»

di Annamaria BRACCINI

29 Maggio 2016

«Ripensare il concetto di qualità della vita. Questa è una nozione che, come tante altre nel nostro presente, è sottoposta spesso a valutazioni di tipo numerico, statistico o efficientistico. Come è ovvio, il concetto cui si richiamano i firmatari del documento è, invece, una qualità della vita più complessa, dove siano garantiti i bisogni fondamentali – la casa, l’istruzione, la sanità – nei quali Milano rappresenta, comunque, una fortunata eccezione rispetto a gran parte del Paese». Alessandro Zaccuri, scrittore, conoscitore della metropoli, giornalista, padre di famiglia, centra immediatamente il punto cruciale del paragrafo dedicato a «Milano e città metropolitana» nel documento stilato dal Coordinamento unitario delle associazioni, dei gruppi e dei movimenti della Diocesi di Milano in vista delle elezioni amministrative.

Qual è la vera condizione della metropoli?
Moltissimo resta da fare, mi permetterei di dire soprattutto sul fronte abitativo. Siamo tutti invitati a ripensare una città dove i cittadini non siano soltanto fruitori di servizi, ma tornino a essere protagonisti e, in questa prospettiva, mi sembra che Milano possa fare, nel futuro prossimo, molta strada. Il tema della partecipazione – cui si lega anche la qualità della vita – e quello dell’iniziativa dei cittadini sono rimasti, infatti in questi anni, abbastanza in secondo piano rispetto a tante altre emergenze. Da un tale punto di vista credo che sia molto importante il richiamo a fare in modo che la rivoluzione dei Municipi sia un rafforzamento effettivo e non nominale del tessuto civile.

Il cardinale Scola, nella processione del Corpus Domini significativamente svoltasi in una periferia-simbolo come la Barona, ha detto: «Vogliamo abitare per intero, a pieno, questa nostra città; vogliamo essere diffusori di amicizia civica». Questo documento va in questo senso?
Penso che la grande domanda, non più rinviabile per Milano, sia relativa a che tipo di capitale vuole essere. Sappiamo che non è più la capitale industriale del Paese; che la storia degli ultimi decenni ha messo profondamente in discussione il suo ruolo di capitale morale. Pensare alla metropoli come capitale finanziaria, inoltre, non basta, anche perché ormai abbiamo capito che la finanza non è, di per sé, un indicatore sufficiente del benessere, né, tantomeno, della ricchezza condivisa. Milano è, invece, di fatto uno dei grandi snodi dei migranti del nostro Paese, in cui deve crearsi un’osmosi tra la parte meno ricca del mondo e la parte più ricca, tra il Mediterraneo che preme e l’Europa settentrionale che rischia di arroccarsi. Chiedere da parte dei credenti, come si fa in questo documento, che Milano si ripensi o che ripensi per che cosa intende essere punto di riferimento per il Paese, riguarda anche una nozione allargata di convivenza.

Proprio in questo senso viene citata Expo, che ha dato forse nuovo slancio, la voglia di reincontrarsi e anche la possibilità di mostrare la metropoli come laboratorio. Ma davvero, come si dice nel documento, Milano può essere «inquieta, curiosa, intraprendente, solidale»?
Inquieta lo è già adesso, basti pensare alle preoccupazioni per l’immigrazione. La curiosità è, invece, una dote da riscoprire nel senso che la curiosità non può restare chiusa nel quadrilatero della moda o del centro storico.

Curiosità, dunque, nel suo senso nobile di curiositas – da cur -, ossia di «perché»…
A costo di stravolgere un po’ l’etimologia, potremmo immaginare anche una “curiosità della cura”, cioè della responsabilità. Ritengo che questi quattro aggettivi – inquieta, curiosa, intraprendente, solidale – si possano riassumere tutti in “responsabile”. Milano è una città che ha una grande responsabilità nei confronti del Paese e, quindi, verso se stessa. Sarebbe interessante comprendere che la città non è solo una metropoli arroccata rispetto a tutte le società affluenti e come possa tornare a essere un crocevia. È Mediolanum, la “città di mezzo”, che proprio per questo suo situarsi geografico e strategico, può mediare. Milano come luogo della mediazione: per me è il sogno che, in questo momento, anche la tradizione della Dottrina sociale della Chiesa può consegnare alla città.

Il libro

In Città (In Dialogo, Collana Agape+ Parole per capire ascoltare capirsi, 56 pagine, 7 euro), Alessandro Zaccuri, scrittore e giornalista del quotidiano Avvenire (dove si occupa in particolare di letteratura e tematiche culturali), si interroga su come oggi la coscienza contemporanea intende il concetto di Città, tra richiesta di sicurezza e accoglienza, tra muri di protezione e porte da aprire per entrare e uscire da essa, incontro a un mondo complesso ma ineludibile. Fa da “preludio” a tale riflessione la presentazione di un’icona biblica, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme narrato dall’evangelista Marco, a cura di don Matteo Dal Santo, sacerdote ambrosiano e collaboratore del Servizio diocesano per la Catechesi di Milano. «La città costringe, dalla città si fugge - scrive Zaccuri -, ma una città è comunque necessaria. Nella storia, dove la città ha avuto la sua prima manifestazione e continua a subire mutazioni continue. E dopo la storia, nell’orizzonte di quella Città di Dio che è compendio e promessa, ricapitolazione e annuncio. Costruiamo mura, dunque, perché alla sicurezza non possiamo rinunciare. Ma non trascuriamo di aprire - in quelle mura - porte che lascino respirare le città. Più che altro, non dimentichiamo le chiavi». Un percorso quanto mai attuale, che pone interrogativi urgenti e stringenti di fronte ai fatti che travagliano il nostro tempo.