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Casa della Carità

Un laboratorio di prossimità e accoglienza

I sette anni di vita della Fondazione hanno offerto l’occasione per rileggere una vera “Accademia della cultura”, che dalla metropoli si apre al mondo intero

di Loris CANTARELLI

23 Novembre 2011

Una festa semplice e sincera, pur con qualche preoccupazione per le difficoltà presenti in città. Potrebbe essere questa la sintesi del settimo anniversario della Casa della Carità “Angelo Abriani”, celebrato ieri sera nell’auditorium “Teresa Pomodoro”. Presenti all’evento monsignor Gianni Zappa (Moderator Curiae) e monsignor Luigi Testore (vicario episcopale per la Missione e la Carità), il sindaco Giuliano Pisapia, garante pro tempore della Fondazione Casa della Carità con l’Arcivescovo di Milano («da non credente un grato saluto al cardinale Martini per la sua scelta, laica come poche in Italia»), il vicesindaco Maria Grazia Guida (già direttore della Casa della Carità), gli assessori Bruno Tabacci (Bilancio), Lucia Castellano (Casa e Lavori pubblici) e Pierfrancesco Majorino (Politiche Sociali), e tanti amici del luogo di accoglienza milanese (come la volontaria Umberta Barletti e il marito Gad Lerner).

Nell’introduzione Silvia Landra, attuale direttrice della struttura, ha ricordato che oltre all’anniversario «si festeggia nel senso della diversità e del dialogo», un dialogo tra religioni, tra Paesi e tra istituzioni (pubbliche e private, civili ed ecclesiastiche). A introdurre gli interventi, gli artisti associati Identità Plurali (unione di culture immigrate sotto l’attenta supervisione di Ciro Menale) e alcuni studenti del Conservatorio hanno proposto un canto accompagnato da strumenti ad arco.

Poi don Massimo Mapelli (coadiutore di presidenza della Casa della Carità) ha illustrato «lo tsunami di umanità» incontrato in questi sette anni: 1500 ospiti di 86 nazionalità, una porta aperta che riesce a rispondere a una domanda su otto, in particolare da parte di famiglie sfrattate, con oltre 200 ospiti in appartamenti sparsi in città e un sistema di cooperative che dà lavoro ad altre 60 persone.

Infine il presidente don Virginio Colmegna ha ricordato che «l’equità sociale è una grande molla di sviluppo, anche culturale e umano» e che «la carità è domanda di cultura, è andare alla radice delle motivazioni». Per questo la Casa della Carità «accoglie l’emergenza per farla diventare urgenza, ma proprio da lì giunge il segnale che per ricercare benessere non si può escludere socialmente e consolidare ingiusti privilegi. Si esige invece un’interiorità, una spiritualità che faccia parlare anche il silenzio subito dai deboli. Si richiede una scelta eticamente motivata di condivisione».

Il sindaco Pisapia ha quindi confessato di sentirsi privilegiato ed emozionato per essere di nuovo alla Casa della Carità, che «potrebbe essere un’Arca di Noè e un’ancora di salvezza, ma anche di speranza» per la giustizia sociale, oltre ad aiutare la città – soprattutto da le istituzioni – a rimanere «dalla parte degli oppressi e degli emarginati».

Da parte di monsignor Zappa è giunto il saluto dell’arcivescovo cardinale Scola, ma anche dei cardinali Martini e Tettamanzi («uno a destra e uno a sinistra, da Gallarate e dalla Brianza vegliano su di noi»), per un luogo pensato come «avamposto della carità, di frontiera rispetto all’elemosina dal salotto di casa», che dimostra come «ci si può riscattare e diventare risorsa», a patto di «un coinvolgimento di menti, mani e cuore: un volto amico e solidale, che riconosce ogni uomo come figlio di Dio e comunque come compagno di viaggio».

Nel finale padre Ermes Ronchi ha guidato una commovente rilettura musicale di tre poesie di padre Davide Maria Turoldo, nell’imminenza del ventennale della scomparsa (6 febbraio 1992), nella convinzione che «anche un solo verso può fare più grande l’universo». Come ha ben descritto il teologo friulano nel raccogliere l’emozione palpabile in sala dopo la prima esecuzione dell’orchestra multietnica, «c’è una forza di gravità anche verso l’alto e il poeta l’ha intercettato».