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Milano

Scola: «Siete indispensabili
per allenare i ragazzi alla vita»

Nel tradizionale incontro augurale col mondo dello sport l’Arcivescovo ha richiamato agli allenatori delle società sportive ambrosiane l’importanza del loro ruolo nell’educazione alla vita

di Filippo MAGNI

15 Dicembre 2014

Possono essere «le chiavi d’accesso alle domande di senso inespresse dei preadolescenti». E anche «figure indispensabili per la riuscita della comunità educante». Li definisce così, il cardinale Angelo Scola, gli allenatori che insegnano lo sport, e dunque i valori della vita, ai ragazzi. Numerosi riempiono il salone di via Sant’Antonio a Milano (tra loro anche il presidente lombardo del Coni, Pierluigi Marzorati), giunti a incontrare Scola in occasione del Natale degli sportivi. All’incontro, che ogni anno pone di fronte l’Arcivescovo di Milano e i rappresentanti delle società legate alla Diocesi, è invitato questa volta chi guida le squadre dei preadolescenti. «La vera età critica del nostro tempo – spiega Scola -. Quando ero giovane io, erano i 18 anni, nelle generazioni successive furono gli anni delle scuole superiori, oggi è la preadolescenza». Lo si vede anche «dal modo in cui questi ragazzi vivono la dimensione affettiva, rompendo il pudore» con comportamenti «indotti dalla cultura dominante», per i quali «vanno evitate colpevolizzazioni, ma che sono indicativi della delicatezza di quell’età».

Un pensiero che pare condiviso dalla platea, impegnata ogni settimana a essere un punto di riferimento per giovani. Secondo Scola, e l’esperienza lo conferma, gli allenatori «sono la figura più spontaneamente accettata, accolta, ricercata e in parte anche idolatrata dai preadolescenti. Tutte le altre figure educative devono prima impegnarsi in una molto maggiore fatica della conquista». È quindi facilmente comprensibile perché Scola li consideri punto fondamentale della comunità educante. Tanto da spingersi a dire: «Senza di voi, un’educazione alla vita che sia veramente tale, che sia integrale, e anche un’educazione cristiana alla vita, è oggi molto improbabile». L’invito è quindi, «senza lasciare quello che già fate – precisa Scola – a diventare parte di quella Comunità educante che dà unità alla vita frammentata dei ragazzi, impegnati a passare da ambiti che non sono in relazione». La sfida è far sì che «le persone che hanno a che fare con i ragazzi creino tra loro un rapporto di comunità in funzione dell’esperienza educativa. Anche solo incontrandosi per raccontarla».

Nei diversi registri della serata c’è posto anche per il racconto del campione, Andrea Lucchetta. Appassionato oratore, pochissime pause, intenso quasi come a Rio de Janeiro nel 1990, quando portò la nazionale italiana di volley a conquistare l’oro mondiale, ottenendo anche il premio di miglior giocatore del torneo. Capelli tagliati in diagonale come da suo marchio di fabbrica, sorriso stampato sul volto, racconta dei 250 mila ragazzini con cui ha giocato. Ricavandosi del tempo anche quando era a Modena, vinceva 4 scudetti di fila e il pomeriggio andava nelle palestre e nelle scuole per raccontare il volley ai più piccoli. «Adattando il mio linguaggio alla loro età. Con un bimbo di 2 anni gioco a gattoni. Con uno di 3, mi rotolo. Con un piccolo di 6 anni, gioco in ginocchio. Con un ragazzino di 13, cerco di mettermi al suo livello». Ma anche, ricorda, «come quando ero piccolo, in oratorio e poi dai salesiani, e bastava un bastone spezzato a metà per giocare alla lippa». La chiave per entrare in contatto con i giovani, assicura, «è il gioco. Adattato al linguaggio della loro età». C’è anche un cartone animato, nella vita fuori dal campo di Lucchetta. E naturalmente parla di volley. Racconta la vita di una squadra di preadolescenti, la “Spike team”, impegnate a portare sul campo i valori sportivi del loro allenatore, Lucky. Dal gioco di squadra all’umiltà, alla fantasia.

I presenti lo ascoltano seduti in un salone che, per una sera, «diventa come uno spogliatoio dove gli allenatori tornano ad ascoltare», afferma il presidente del Csi Massimo Achini. Supportato dal direttore della Fom, don Samuele Marelli, che ricorda come «più dei due terzi degli oratori della Diocesi di Milano hanno una società sportiva, a diversi livelli». Introducendo così l’intervento di monsignor Pierantonio Tremolada, convenuto in qualità di presidente della Fom, il quale pone l’accento «sulle quattro aspettative di un preadolescente» nei confronti di un educatore e, quindi, di un allenatore. La prima, secondo il vescovo, è «sentirsi considerato e stimato, spronato a far leva sulle proprie possibilità». La seconda, il riconoscimento «della sua identità in cambiamento. Non è più un bambino e vuole conoscere i motivi delle richieste che gli vengono fatte». Terza, «un aiuto a vivere bene le relazioni, a non sentirsi soli, ad andare oltre la comunicazione da social network». Ultima, il desiderio «di una presenza autorevole. Che risponda al desiderio, spesso inconfessato ma vivo, di essere guidato e accompagnato».

Elementi che trovano sintesi nell’intervento del cardinale Scola, il quale chiude la serata con una foto che lo ritrae insieme a tutti gli allenatori. È un selfie fatto con il telefonino, come va di moda. Lo scatta don Alessio Albertini, delegato diocesano per lo sport e sacerdote del Csi nazionale. Perché, conclude, «il Cardinale è con gli allenatori. Ma anche tutti gli allenatori delle società ambrosiane sono con il Cardinale».

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