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Sport e oratorio

«Giocare non è il fine, ma il mezzo per crescere»

Indagine fra società sportive negli oratori lombardi. Il 96% punta sul piano educativo. Prevale il calcio, ma il progetto è trovare più spazi per le ragazze

Marco CONTI Redazione

9 Marzo 2009

Non importa se invece di una tecnologica erba sintetica il terreno di gioco è ancora di sabbia, quella che quando si cade ci si sbuccia le ginocchia. L’importante è che su quel terreno ci possano giocare tutti, anche quei bambini che più che Maradona o Del Piero somigliano allo zio in sovrappeso e con il fiatone durante la partita della domenica mattina. Magari non troppo sportivi, ma dai valori certi. Il terreno in questione è quello dei campi di calcio degli oratori, che continuano a riscuotere grande successo.
Un gradimento confermato dai numeri di “Oratorio e sport”, l’indagine conoscitiva sulla funzione dello sport negli oratori della Lombardia promossa dagli Oratori delle diocesi lombarde e dal Centro sportivo italiano, con il contributo della Regione Lombardia, presentata ieri al centro congressi Giovanni XXIII: un anno di lavoro, sette gruppi locali composti da direttore e animatori dell’oratorio, dirigente e collaboratori sportivi, oltre a 568 questionari compilati da 295 responsabili di oratorio e 273 dirigenti laici di società sportive sparse su tutto il territorio lombardo.
«Dalle risposte – spiegano Diego Mesa, docente di Metodologia della ricerca sociale presso l’Università Cattolica di Brescia, e Caterina Gozzoli, docente di Psicologia della convivenza socio-organizzativa presso l’Università Cattolica Milano, curatori della ricerca – emergono frasi del tipo «vogliamo meno coppe e più ragazzi che giocano», oppure «raccogliamo ragazzi scartati da altre squadre» e infine «lo sport è un mezzo, non un fine». Un contesto nel quale si vuole che la formazione di dirigenti e allenatori riguardi più il piano pedagogico/educativo (96%) che quello tecnico/sportivo (88% per i dirigenti; 94% per gli allenatori)». Non importa se invece di una tecnologica erba sintetica il terreno di gioco è ancora di sabbia, quella che quando si cade ci si sbuccia le ginocchia. L’importante è che su quel terreno ci possano giocare tutti, anche quei bambini che più che Maradona o Del Piero somigliano allo zio in sovrappeso e con il fiatone durante la partita della domenica mattina. Magari non troppo sportivi, ma dai valori certi. Il terreno in questione è quello dei campi di calcio degli oratori, che continuano a riscuotere grande successo.Un gradimento confermato dai numeri di “Oratorio e sport”, l’indagine conoscitiva sulla funzione dello sport negli oratori della Lombardia promossa dagli Oratori delle diocesi lombarde e dal Centro sportivo italiano, con il contributo della Regione Lombardia, presentata ieri al centro congressi Giovanni XXIII: un anno di lavoro, sette gruppi locali composti da direttore e animatori dell’oratorio, dirigente e collaboratori sportivi, oltre a 568 questionari compilati da 295 responsabili di oratorio e 273 dirigenti laici di società sportive sparse su tutto il territorio lombardo.«Dalle risposte – spiegano Diego Mesa, docente di Metodologia della ricerca sociale presso l’Università Cattolica di Brescia, e Caterina Gozzoli, docente di Psicologia della convivenza socio-organizzativa presso l’Università Cattolica Milano, curatori della ricerca – emergono frasi del tipo «vogliamo meno coppe e più ragazzi che giocano», oppure «raccogliamo ragazzi scartati da altre squadre» e infine «lo sport è un mezzo, non un fine». Un contesto nel quale si vuole che la formazione di dirigenti e allenatori riguardi più il piano pedagogico/educativo (96%) che quello tecnico/sportivo (88% per i dirigenti; 94% per gli allenatori)». Occasione di integrazione Insomma, importante far crescere dei ragazzi con la testa più sulle spalle che nel pallone. Sette bambini su 10 imparano a collaborare con gli altri, l’80% dei dirigenti sportivi ritiene che fare sport in oratorio eviti ai ragazzi comportamenti devianti, il 90% che è veicolo di relazioni educative con adulti significativi, il 76% che è un’occasione di integrazione per ragazzi stranieri. Un tasto, quest’ultimo, che sta molto a cuore a monsignor Roberto Amadei, delegato per la Pastorale giovanile della Conferenza episcopale lombarda. «Il punto centrale – ha detto – è proprio l’integrazione dei nuovi arrivati. In questo senso gli oratori stanno facendo molto: le loro porte sono sempre state aperte a tutti».Gli adulti devono lavorare insieme per una genitorialità condivisa». I genitori – ha sottolineato don Michele Falabretti, referente degli Odl per la ricerca, durante la tavola rotonda coordinata da don Pier Codazzi, presente anche don Alessio Albertini, direttore dell’oratorio milanese di Famagosta) – «spesso sono l’esempio più negativo per i loro figli: quanti ne vediamo aggrappati alla rete mentre inveiscono contro l’arbitro?». Falabretti, in sintonia con Davide Iacchetti, referente del Csi Lombardia e direttore dell’area formazione, sottolinea l’importanza di fare una rete decisiva, «quella di creare strette sinergie tra oratorio, società sportive e territorio. Un dialogo serio (che, stando sempre alla ricerca, è in atto: l’86% dei dirigenti e allenatori desidera una formazione a livello anche pastorale, ndr) – porta a collaborazioni oneste e efficaci: tutti insieme possiamo costruire una buona offerta di impegno sportivo a ragazzi, adolescenti e giovani». Cominciando a dare una colorata di rosa all’oratorio, visto che il campo di calcio è l’impianto sportivo più diffuso, diventando quindi una discriminante per tutte le ragazze che vogliono fare sport nella struttura parrocchiale.«Rispetto alla loro nascita – spiega don Falabretti – gli oratori si devono confrontare con una realtà completamente diversa: la diffusione di altri sport spinge molti ragazzi a fare altre scelte. L’oratorio non può dotarsi di tutte le strutture possibili ma una progettazione territoriale più intelligente potrebbe favorire una rete di collaborazioni con il pubblico e con le parrocchie circostanti per avere le giuste soluzioni».