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DAL “CANNIBALE” AL “MARZIANO”

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5 Giugno 2008

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Tra gli anni Sessanta e Settanta Eddy Merckx domina il mondo e vince cinque Tour. Successivamente lo imitano il francese Bernard Hinault e lo spagnolo Miguel Indurain. Ma dopo che Marco Pantani ha posto fine al digiuno italiano che durava dai tempi di Gimondi, Lance Armstrong batte tutti i record: sette vittorie consecutive

Il dominio di Anquetil venne interrotto da un italiano, Felice Gimondi che, presentatosi al Tour 1965 nelle vesti di gregario del compagno Adorni, vinse a sorpresa su tutti i terreni. Malgrado avesse frustrato una volta ancora i sogni del beniamino di casa Poulidor, il bergamasco conquistò molti estimatori e tifosi anche tra il pubblico d’Oltralpe.

Seguirono vittorie di comprimari (Aimar, Pingeon) o di buoni corridori (Janssen). Poi irruppe sulla scena Eddy Merckx. Al debutto (1969) giunse a Parigi con 17 minuti di vantaggio sul secondo, vestendo non solo la maglia gialla, ma anche quella per la classifica a punti e quella di miglior scalatore. Nei cinque anni successivi il “Cannibale” belga vinse altri quattro Tour. L’unico a tenergli testa fu lo scalatore spagnolo Luis Ocaña: nel 1971 cadde quando aveva ormai otto minuti di vantaggio in classifica, nel 1973 vinse approfittando dell’assenza di Merckx.

L’orgoglio francese fu rinnovato dalla doppietta di Bernard Thévenet (1975 e 1977) e soprattutto dalla cinquina di Bernard Hinault (1978, 1979, 1981, 1982 e 1985), capace di vincere Giro e Tour nello stesso anno come sin lì era riuscito solo a Coppi, Anquetil e Merckx. Alla sua scuola crebbero il connazionale Laurent Fignon (primo nel 1983 e nel 1984) e l’americano Greg Lemond che, vincitore nel 1986 proprio su Hinault, si ripetè nel 1989 sullo stesso Fignon (per soli otto secondi) e nel 1990 sul coraggioso varesino Chiappucci.

Sono di quell’epoca i successi di Roche (1987, anno magico per l’irlandese, che vinse anche il Giro e il Mondiale) e Delgado (1988), ma le vittorie di Lemond – primo non europeo a imporsi al Tour – cambiarono volto al ciclismo e ne allargarono i confini.

Gli anni Novanta sono caratterizzati dal regno di Miguel Indurain, l’atleta che annichiliva gli avversari nelle gare a cronometro grazie a una potenza spaventosa e ne conteneva brillantemente gli ardori in salita. Il navarro fu il primo a vincere cinque Tour consecutivi, dal 1991 al 1995. A nulla valsero gli sforzi dei nostri Chiappucci e Bugno, mentre su Alpi e Pirenei cominciava a mettersi in luce un certo Marco Pantani.

Dopo le vittorie del danese Riis (1996) e del tedesco Ullrich (1997), il Pirata impose la sua legge in salita nel 1998 con la grande fuga solitaria sotto una tempesta d’acqua nella Grenoble-Les Deux Alpes. Il trionfo del Pirata pose fine all’ultratrentennale digiuno italiano (da Gimondi ’65) e salvò quel Tour, messo fortemente a repentaglio dallo scandalo doping, con perquisizioni e arresti durante la gara e le successive proteste dei ciclisti, che arrivarono a un passo dall’interruzione della corsa.

L’acuto di Pantani fece da introduzione alla successiva era-Armstrong, che dura tuttora. Tornato alle corse dopo aver sconfitto il cancro, il texano ha stupito il mondo eguagliando e poi superando il record di Indurain, con sette Tour vinti consecutivamente dal 1999 al 2005.

Lo scorso anno la Operacion Puerto decapitò la corsa dei suoi principali favoriti, Ullrich e Basso. Vinse l’americano Landis, poi scoperto “positivo” al testosterone, col risultato che nell’albo d’oro manca tuttora il nome del vincitore. E da Londra, quest’anno, la corsa partirà senza il numero 1.