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Intervista a Stefano Zanatta, direttore sportivo di Di Luca LA STRATEGIA DEL KILLER

5 Giugno 2008

Dalla vittoria nella cronosquadre al primato in classica
rimbalzato da Gasparotto al corridore abruzzese: una
settimana d’oro per la Liquigas, dove italiani e stranieri,
giovani e anziani sono uniti da un forte spirito di gruppo.
«Pensavamo di avere svolto una buona preparazione,
ma è il campo di gara a dimostrare se hai lavorato bene –
spiega Zanatta -. La maglia rosa è arrivata troppo presto?
Sempre meglio averla che inseguirla… Danilo è sereno
e consapevole di avere vicino una squadra forte e unita.
Simoni il rivale più pericoloso, Riccò la possibile sorpresa»

di Silla Gambardella

«La squadra è stata perfetta: Noé e Nibali hanno scandito il ritmo per tutta la salita, poi Pellizotti mi ha tirato la volata: io ho dovuto fare solo gli ultimi 200 metri e mettere la ciliegina sulla torta di una vittoria frutto del gioco di squadra». Mercoledì scorso Danilo Di Luca ha commentato così il suo successo a Montevergine di Mercogliano, primo arrivo in salita del Giro 2007, laddove l’abruzzese vinse già nel 2001. E con la vittoria di tappa per il “Killer” era arrivata anche la maglia rosa, poi sfilatagli da Pinotti a Spoleto.

In realtà nei primi sei giorni di corsa la casacca del primato è sempre rimasta in casa Liquigas, rimbalzando per due volte dal giovane Gasparotto allo stesso Di Luca. Il segreto, come spiega il direttore sportivo Stefano Zanatta – pro dal 1986 al 1995, tre Tour de France e sette Giri d’Italia portati a termine – è proprio la compattezza della squadra: nuove leve (Nibali e Gasparotto) e vecchi senatori (Noé e Spezialetti), italiani e stranieri (Miholjevic e Wegelius), uniti da un forte spirito di gruppo, ingrediente fondamentale nelle corse a tappe.

Finora è andato tutto come doveva andare…
A parte la caduta di Gasparotto nella tappa di Montevergine, per noi è stata una settimana da incorniciare. Non si poteva pretendere di meglio. Eravamo partiti consapevoli di avere svolto una buona preparazione e di avere fatto tutti il nostro dovere, ma poi è il campo di gara che ti dimostra se hai davvero lavorato bene.

Partiamo dalla cronosquadre: il tracciato non era da specialisti, ma la vittoria della Liquigas sulle più “quotate” Astana e Csc è stata una mezza sorpresa…
È vero, Astana e Csc partivano con i favori del pronostico, ma questa vittoria non è nata dal caso. Già dalla cronosquadre del Giro 2006 abbiamo capito quanto sia importante provare questo genere di esercizio anche in allenamento. Durante gli stages invernali, più volte abbiamo simulato prove a cronometro di gruppo, e ogni atleta è stato dotato di una bici da crono anche per gli allenamenti a casa. Nella cronosquadre sarda i compiti sono stati equamente divisi: gli scalatori hanno scandito il passo in salita, i passisti hanno tirato in pianura. E la vittoria è stata un vantaggio non solo in termini di tempo, ma anche per il morale.

Le è piaciuta l’idea della partenza “isolana”?
La Sardegna ha offerto paesaggi e panorami suggestivi, insoliti, e un pubblico caloroso. Dal punto di vista logistico c’è stata qualche difficoltà in più: sere in cui abbiamo anticipato la cena, mattine in cui abbiamo ritardato la sveglia, nel giorno di riposo le bici sono arrivate solo in serata e i corridori non hanno potuto allenarsi… Ma non ne siamo stati troppo condizionati e non ne abbiamo fatto un dramma: anche attraverso un lavoro di “psicologia”, abbiamo fatto capire ai ragazzi che non era così grave saltare un allenamento e tutti hanno accettato la situazione con serenità.

Una squadra che punta al successo finale ha vestito la maglia rosa già nella prima tappa: vantaggi e svantaggi?
Di certo si spende molto, in termini di energie fisiche e stress mentale, per difenderla tutti i giorni. Ma io sono dell’idea che la maglia rosa è sempre meglio averla che inseguirla… È una spinta morale.

In questi primi giorni tanti giovani in evidenza: da Ignatiev a Visconti, da Nibali a Riccò. Segno di un ricambio generazionale?
Ho notato più coraggio da parte di molte squadre nel dare fiducia a corridori giovani. E i giovani animano le fughe, osano, danno spettacolo, vivacizzano la corsa. Anche la Liquigas, per esempio, ha affiancato a senatori come Noé e Spezialetti due giovani promesse come Nibali e Gasparotto: non hanno pressioni od obiettivi particolari, ma lavorano bene e hanno già raccolto importanti soddisfazioni, vestendo la maglia bianca il primo e la maglia rosa il secondo.

Quale sarà il punto chiave del Giro?
Una corsa di tre settimane non si vince e non si perde in una sola tappa, ma nel suo complesso. Sarà fondamentale farsi trovare pronti nelle giornate che vanno dal’arrivo di Briançon alle Tre Cime di Lavaredo, compresa la cronoscalata a Oropa. Lì si vedrà chi rimarrà in gioco per la vittoria finale.

Gli avversari più temuti?
Al primo posto metto Simoni: è il più esperto in gruppo, e anche se non è stato il più brillante finora, verrà fuori alla distanza. Così come Cunego, che promette un Giro in crescendo. Poi c’è Riccò, vera sorpresa di questa prima settimana e attualmente tra i più in forma del gruppo.

E Di Luca? Quanto crede nella maglia rosa a Milano?
Danilo ci crede molto. Prima del Giro, nella sua testa aveva dato la priorità ad altri obiettivi, come la Liegi. Questo gli ha consentito di arrivare qui senza troppe pressioni o responsabilità. È sereno e consapevole di avere vicino una squadra forte e unita.