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Calcio

«Mondiale all’oratorio sì, ma non solo maxischermi»

Diversi centri giovanili della diocesi si sono organizzati per ospitare la visione delle partite. Massimo Achini, presidente del Csi: «Accompagnare�le telecronache con�momenti di riflessione educativa»

di Mauro COLOMBO Redazione

13 Giugno 2010

Con l’inizio del Mondiale di calcio in Sudafrica sono tornate le “notti magiche”, serate da trascorrere in compagnia a fare il tifo per l’Italia davanti allo schermo (meglio se maxi). Anche molti oratori – approfittando del ricco carnet di iniziative estive – si sono organizzati trasformando in centri di visione collettiva le sale, gli auditorium e, in qualche caso, pure gli spazi all’aperto. Un’occasione di aggregazione, indubbiamente, ma con quali risvolti educativi?
Ne parliamo con Massimo Achini, presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano, in passato alla guida del Comitato provinciale di Milano: incarichi in cui ha messo a frutto l’esperienza da educatore (non solo sportivo) maturata per diversi anni proprio in ambito oratoriano: «È un’occasione da non perdere per ribadire prima di tutto la valenza educativa dello sport “praticato” in oratorio – spiega -. Da questo punto di vista, la Chiesa ambrosiana ha una tradizione solidissima e, al tempo stesso, una modernità che ne fanno un autentico punto di riferimento a livello nazionale. Detto questo, la visione delle partite è un’idea semplice, naturale e, direi, anche simpatica di far vivere ai ragazzi un evento “nazionalpopolare” come il Mondiale. L’importante, però, è che la televisione o il maxischermo non rimangano fini a se stessi…»

In che senso?
Occorre “creare” l’appuntamento della telecronaca, in modo da accompagnarlo con opportunità di crescita educativa. Quindi, prima dell’inizio, durante l’intervallo e al termine della partita, è importante ideare qualche momento di riflessione sui valori dello sport.

Qualche esempio?
La fantasia e la creatività dei nostri oratori non hanno certo bisogno di consigli… Mi limito a un paio di suggerimenti: la proiezione di video, soprattutto sull’Africa (segnalo quello legato alla campagna di Terre des Hommes contro lo sfruttamento dei bambini), oppure la testimonianza di vita di qualche atleta, pensando in particolare a quelli paralimpici.

Assistere insieme alle partite può rappresentare anche un’opportunità di socializzazione tra italiani e stranieri?
Sicuramente. Il tema dell’integrazione tra razze, culture e religioni diverse è “caldo” nell’agenda del nostro Paese. Ma basta entrare nello spogliatoio di una qualsiasi squadra d’oratorio, e vedervi riuniti insieme giocatori italiani e stranieri, per capire quanto lo sport in parrocchia sia “avanti” su questo fronte. E questo grazie all’impegno quotidiano e silenzioso di tanti allenatori, che mettono in gioco la loro umanità trattando tutti allo stesso modo.

A differenza di altre competizioni, il Mondiale – almeno in linea teorica – vede il pubblico compatto in una sola fazione e “depurato” da quelle esasperazioni che caratterizzano le rivalità tra squadre di club. Questo elemento può favorire un tifo più “sano”?
Il sostegno alla Nazionale è certamente scevro da quelle aberrazioni che talvolta caratterizzano il tifo per la singola squadra. Oggi, tra l’altro, anche ai giovanissimi farebbe bene recuperare qualche momento di forte identità: il Mondiale può essere uno di questi. Purtroppo la vigilia non ha certo favorito la popolarità della squadra azzurra: pensiamo alle polemiche sui premi, alla frase che Marchisio avrebbe pronunciato durante l’inno… Speriamo che con l’inizio delle partite la musica possa cambiare.

Proprio l’assenza di accese contrapposizioni può aiutare anche a manifestare più rispetto nei confronti dell’avversario?
In linea di principio, sì. Certo, prima ancora che dagli spettatori, il fair-play dovrebbe essere messo in campo dai giocatori, a tutti i livelli. Tenendo conto di questa responsabilità, sarebbe veramente grave se dal Mondiale giungessero invece episodi di segno opposto.

E al termine della partita, entro quali limiti contenere la propria gioia o la propria delusione?
Finita la partita, deve finire tutto. Il vantaggio del contesto oratoriano è proprio quello che, pochi minuti dopo il fischio finale, già si pensa ad altre attività: non c’è spazio, quindi, per degenerazioni, sia nell’esultanza, sia nella recriminazione. Vittoria o sconfitta, il risultato che conta è quello educativo. Con l’inizio del Mondiale di calcio in Sudafrica sono tornate le “notti magiche”, serate da trascorrere in compagnia a fare il tifo per l’Italia davanti allo schermo (meglio se maxi). Anche molti oratori – approfittando del ricco carnet di iniziative estive – si sono organizzati trasformando in centri di visione collettiva le sale, gli auditorium e, in qualche caso, pure gli spazi all’aperto. Un’occasione di aggregazione, indubbiamente, ma con quali risvolti educativi?Ne parliamo con Massimo Achini, presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano, in passato alla guida del Comitato provinciale di Milano: incarichi in cui ha messo a frutto l’esperienza da educatore (non solo sportivo) maturata per diversi anni proprio in ambito oratoriano: «È un’occasione da non perdere per ribadire prima di tutto la valenza educativa dello sport “praticato” in oratorio – spiega -. Da questo punto di vista, la Chiesa ambrosiana ha una tradizione solidissima e, al tempo stesso, una modernità che ne fanno un autentico punto di riferimento a livello nazionale. Detto questo, la visione delle partite è un’idea semplice, naturale e, direi, anche simpatica di far vivere ai ragazzi un evento “nazionalpopolare” come il Mondiale. L’importante, però, è che la televisione o il maxischermo non rimangano fini a se stessi…»In che senso?Occorre “creare” l’appuntamento della telecronaca, in modo da accompagnarlo con opportunità di crescita educativa. Quindi, prima dell’inizio, durante l’intervallo e al termine della partita, è importante ideare qualche momento di riflessione sui valori dello sport.Qualche esempio?La fantasia e la creatività dei nostri oratori non hanno certo bisogno di consigli… Mi limito a un paio di suggerimenti: la proiezione di video, soprattutto sull’Africa (segnalo quello legato alla campagna di Terre des Hommes contro lo sfruttamento dei bambini), oppure la testimonianza di vita di qualche atleta, pensando in particolare a quelli paralimpici.Assistere insieme alle partite può rappresentare anche un’opportunità di socializzazione tra italiani e stranieri?Sicuramente. Il tema dell’integrazione tra razze, culture e religioni diverse è “caldo” nell’agenda del nostro Paese. Ma basta entrare nello spogliatoio di una qualsiasi squadra d’oratorio, e vedervi riuniti insieme giocatori italiani e stranieri, per capire quanto lo sport in parrocchia sia “avanti” su questo fronte. E questo grazie all’impegno quotidiano e silenzioso di tanti allenatori, che mettono in gioco la loro umanità trattando tutti allo stesso modo.A differenza di altre competizioni, il Mondiale – almeno in linea teorica – vede il pubblico compatto in una sola fazione e “depurato” da quelle esasperazioni che caratterizzano le rivalità tra squadre di club. Questo elemento può favorire un tifo più “sano”?Il sostegno alla Nazionale è certamente scevro da quelle aberrazioni che talvolta caratterizzano il tifo per la singola squadra. Oggi, tra l’altro, anche ai giovanissimi farebbe bene recuperare qualche momento di forte identità: il Mondiale può essere uno di questi. Purtroppo la vigilia non ha certo favorito la popolarità della squadra azzurra: pensiamo alle polemiche sui premi, alla frase che Marchisio avrebbe pronunciato durante l’inno… Speriamo che con l’inizio delle partite la musica possa cambiare.Proprio l’assenza di accese contrapposizioni può aiutare anche a manifestare più rispetto nei confronti dell’avversario?In linea di principio, sì. Certo, prima ancora che dagli spettatori, il fair-play dovrebbe essere messo in campo dai giocatori, a tutti i livelli. Tenendo conto di questa responsabilità, sarebbe veramente grave se dal Mondiale giungessero invece episodi di segno opposto.E al termine della partita, entro quali limiti contenere la propria gioia o la propria delusione?Finita la partita, deve finire tutto. Il vantaggio del contesto oratoriano è proprio quello che, pochi minuti dopo il fischio finale, già si pensa ad altre attività: non c’è spazio, quindi, per degenerazioni, sia nell’esultanza, sia nella recriminazione. Vittoria o sconfitta, il risultato che conta è quello educativo. – – Su “Il Segno” l’Africache scende in campo (https://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2010/Segno_20_28_copertina.pdf) – Inter Campus e Medici con l’Africa Cuamm, “Oltre il calcio” al Parco Sempione (https://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2010/100611_CUAMM_INTERCAMPUS_DEF.pdf)