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Calcio

Il pallone sgonfiato sull’orlo del collasso

Sul mercato fischia il rigore dei conti e intanto i migliori talenti finiscono all'estero

di Nicola SALVAGNIN

7 Luglio 2011

Quanto vale – economicamente – il “bambino prodigio” Alexis Sanchez che l’Udinese sta cercando di piazzare al miglior offerente? Cinquanta milioni di euro? Quanto vale l’intera Lega Pro, ex serie C italiana? Forse meno del ragazzino cileno, se tanto verrà pagato il suo cartellino dal Barcellona o dal Manchester City. Certo non da una squadra italiana, per il semplice fatto che nessuno può permettersi di pagare una simile cifra. Anzi: nemmeno la metà.
Perché il calcio, in quasi tutto il mondo e sicuramente in Italia, è – economicamente parlando – alla vigilia di un collasso mortale. Sulle spalle del calcio professionistico (cioè di coloro che di pallone ci campano, 132 club tra serie A ed ex C) sta un debito ufficiale di 732 milioni di euro. Che prima o poi andrà saldato, più prima che poi, visto che il debitore fatica immensamente a reperire risorse per la gestione ordinaria (300 milioni di euro di buco in un solo campionato), figurarsi trovare soldi per restituire i debiti.
Sulla porta stanno le banche e/o gli azionisti dei club. Esistono casi eclatanti come quello della Roma: in un decennio il club giallorosso ha praticamente cancellato la fortuna economica della famiglia Sensi, poi sorretta da Capitalia. Che è stata incorporata da Unicredit. Ai manager bancari si sono rizzati i capelli quando hanno visto i veri conti del club, che per anni ha vissuto molto al di sopra dei propri mezzi: si parla di un “rosso” vero da centinaia di milioni di euro. I nuovi proprietari americani hanno valutato la società circa 70 milioni (non molto di più dell’onere sostenuto per l’ultimo contratto quinquennale firmato da Francesco Totti), probabilmente mettendosi sulle spalle in tutto o in parte i debiti pregressi.
La Juventus ha appena chiesto agli azionisti soldi per tornare grande, per vincere. E la Juve ha azionisti forti alle spalle e una gestione abbastanza corretta che comunque non le ha evitato uno sbilancio complessivo, in questi anni, di 30 milioni di euro. Il Milan sta dentro i conti della Fininvest, che sono buoni, ma ogni anno massacrati dal deficit rossonero. Da lì una politica d’austerità interrotta solo, l’anno scorso, dal portafoglio personale del presidente Silvio Berlusconi: 70 milioni di euro in un solo anno… L’Inter di Moratti in questi anni ha vinto tutto, a costi stratosferici per il bilancio familiare del presidente che ora appare più preoccupato a contenere il dissanguamento che a vincere. E via piangendo.
Perché il problema è addirittura banale: il calcio spende molto di più di quanto incassa. Le entrate sono date dai diritti televisivi (gestiti collettivamente, e su questo i “grandi” club e i “piccoli” si stanno scannando), dal merchandising e dagli sponsor, dalle amichevoli estive e dagli striminziti incassi registrati in stadi brutti, scomodi, a volte pericolosi e senza alcun altro introito aggiuntivo. Si pensi a negozi, ristoranti, bar, servizi di vario tipo riscontrabili nei migliori stadi europei.
Per contro, gli anni scorsi sono stati quelli degli stipendi folli ai giocatori, dalle rose da oltre trenta tesserati, delle aste anti-economiche per aggiudicarsi questo quel presunto talento. Sfoltendo altri costi, come quello dei vivai giovanili: un’operazione di puro masochismo economico nel medio-lungo termine.
La differenza tra costi e ricavi è stata finora colmata o dai soldi del ricco proprietario di turno – ma anche i Paperoni storici del pallone italico stanno cambiando modo di agire, basti vedere i Della Valle a Firenze -, o indebitandosi ulteriormente con le banche che ora hanno stretto radicalmente i cordoni del credito.
Rimane quel che sta succedendo da un paio di stagioni in qua: vendita all’estero dei gioiellini nostrani (Kakà, Balotelli, Rossi, Sanchez…) per far cassa; acquisti fatti con la formula “prestito con diritto di riscatto” che sono dei veri e propri pagherò; scambi di giocatori la cui valutazione di mercato è assolutamente teorica; riduzione corposa del monte-ingaggi dei giocatori nei nuovi contratti o nel prolungamento degli stessi.
Un insieme di cose che porterà il calcio italiano a vincere poco o nulla nei prossimi anni, ma che forse lo salverà dal disastroso patatrac che si profila invece per il calcio spagnolo: decine di società di A e B stanno chiedendo una specie di procedura concorsuale che è l’anticamera del fallimento, stante l’incapacità di far fronte ai propri debiti (4 miliardi di debiti). Chissà contro chi giocheranno in futuro le megastar di Real Madrid e Barcellona…