Share

A Busto Arsizio la “Bottega” di Wojtyla

Il 28 giugno al Sociale il dramma scritto nel 1960 dall'allora Arcivescovo di Cracovia

26 Giugno 2008

26/06/2008

Sabato 28 giugno il Teatro Sociale di Busto Arsizio (piazza Plebiscito 1) accoglie la compagnia di casa – gli Attori del Teatro Sociale – con la prima nazionale del dramma La bottega dell’orefice, capolavoro teatrale di Karol Wojtyla di cui sono stati realizzati un radiodramma con Raul Grassilli e Milena Vukotic, una riduzione cinematografica per la regia di Michael Anderson, un balletto prodotto da Mondivicini e numerosi allestimenti teatrali, ultimo dei quali quello di Dominic Cheung Ho Kin in cinese.

Lo spettacolo, commissionato da monsignor Claudio Livetti alla regista Delia Cajelli, andrà in scena alle 21, a chiusura del programma di eventi organizzato per la festa di San Giovanni Battista, patrono della città di Busto Arsizio. Sul palco saliranno gli attori Valentina Brivio, Ambra Greta Cajelli, Davide De Mercato, Gerry Franceschini, Mario Piciollo e Anita Romano; le parti corali saranno interpretate dagli allievi del secondo e del terzo anno della scuola di recitazione “Il metodo”.

Pubblicato nel dicembre 1960 sul settimanale cattolico Znak di Cracovia, con lo pseudonimo di Andrzej Jawień, e rappresentato per la prima volta nel 1979, il dramma La bottega dell’orefice è, nelle parole del suo autore, una «meditazione sul sacramento del matrimonio» in forma di dialogo-monologo, un piccolo trattato sul fidanzamento e sulle nozze, intese come unione eterna e indissolubile capace di prevalere sulla vulnerabilità dei sentimenti umani, sulle difficoltà della vita quotidiana e persino sulla morte.

Il testo – suddiviso in tre atti intitolati rispettivamente I richiami, Lo sposo e I figli – racconta la storia di tre amori e tre matrimoni nel periodo a cavallo tra la seconda guerra mondiale e gli anni Sessanta.

Il primo rapporto su cui il futuro Papa si sofferma èquello tra Andrea e Teresa: un sentimento intenso, bruscamente interrotto dalla guerra e capace di oltrepassare la morte, permanendo nel figlio Cristoforo.

Il testo passa, quindi, alla narrazione del legame, difficile e problematico, che unisce Stefano e Anna. Il loro matrimonio è minato dall’indifferenza e dall’incomprensione, pervaso da una sottile ostilità che porta la donna a stabilire contatti con altri uomini e a tentare di vendere, inutilmente, la propria fede, per lei simbolo ormai privo di significato.

L’ultimo atto – che ritrova in scena tutti i personaggi tranne Andrea, morto in guerra – è, invece, dedicato all’amore, esitante e fragile, tra i figli nati dalle due precedenti coppie: i giovani Monica e Cristoforo. Il loro è un rapporto che germoglia da complessi e incertezze, che porta il peso delle diverse eredità spirituali lasciate loro dai genitori.

L’orefice – la cui bottega, sempre evocata, ma mai presente, fa da filo conduttore all’intero dramma – rappresenta la voce della coscienza. La sua vetrina è il luogo in cui si specchiano gli affanni, i dubbi, i desideri e le insicurezze dei vari personaggi, dove l’amore umano si conforma all’«Amore assoluto». Notevole importanza nello svolgimento del dramma ha anche la figura di Adamo, archetipo dell’uomo, guida spirituale delle tre coppie e personaggio che si fa portavoce delle idee di Giovanni Paolo II sul matrimonio.

Il testo, che mostra una straordinaria delicatezza nel raccontare l’innamoramento e i palpiti del cuore, risente dell’esperienza del Teatro rapsodico, fondato negli anni Quaranta, in pieno regime nazista, dal professore Mieczyslaw Kotlarczyk, insegnante di lingua polacca e teorizzatore di una forma di rappresentazione legata al culto della “parola viva”, dove si cessava di far uso di sipario e palcoscenico tradizionale, nonché di scene, costumi e trucco, per dare spazio prioritario alle rime e al ritmo di un’opera teatrale. Il testo è, infatti, composto da monologhi pronunciati da persone che in apparenza sono insieme, ma che non si parlano direttamente.

«Dal punto di vista della regia – spiega Delia Cajelli – ho scelto di privilegiare la parola, secondo i dettami del Teatro rapsodico. I costumi, la scenografia e le luci sono semplici, piuttosto scarni, e giocati sui toni del bianco e del nero, i colori degli abiti nuziali, ma anche tinte simbolo del bene e del male, del cuore e della mente. Le musiche che accompagnano lo spettacolo sono quelle classiche dei matrimoni, dall’Ave Maria di Franz Schubert alla Marcia nuziale, tutte interpretate dal vivo».

Ingresso libero e gratuito, offerto alla cittadinanza dal Comune di Busto Arsizio.
Info: tel. 0331.679000 – fax. 0331.637289 – info@teatrosociale.it – www.teatrosociale.it