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Danza

Virtù e limiti del Pink Floyd Ballet alla Scala

Le musiche del leggendario gruppo rock inglese e le coreografie di Roland Petit per un balletto che appassionerà il pubblico scaligero fino al 10 luglio. I motivi della band non sono risultati affatto fuori luogo in un contesto tanto prestigioso quanto insolito. Certo che se fossero stati eseguiti dal vivo...

Giovanni GUZZI Redazione

6 Luglio 2009

«Un balletto entusiasmante». «Toscanini si sarà rivoltato nella tomba!». In queste due affermazioni raccolte al termine del Pink Floyd Ballet, in cartellone alla Scala fino al 10 luglio, è contenuta molta dell’essenza di questo allestimento di Roland Petit. Scegliendo di disegnare passi di danza sulle musiche di un leggendario gruppo rock, il coreografo francese ha dimostrato, come già in altre opere, la sua capacità e volontà di oltrepassare schemi e barriere di genere perché l’arte, quando è tale, sfugge alle classificazioni rigide.
Sicché l’affermazione relativa all’apprezzamento di Toscanini testimonia quanto proprio l’accostamento fra due generi musicali agli antipodi l’uno dall’altro, quantomeno nell’idea più corrente che di essi ha il pubblico, costituisca sia il limite sia la forza di questo allestimento. Se, infatti, un appassionato di balletto classico, pur apprezzando l’azione dei ballerini in scena, è rimasto al termine non del tutto convinto dalla scelta delle musiche, proprio queste stesse musiche sono state la molla che ha sicuramente attratto alla Scala tanti che, diversamente, difficilmente avrebbero messo piede nel più prestigioso teatro milanese.
Prova di ciò erano la maggior parte dei commenti orecchiati: all’ingresso di grandi aspettative per una sorta di ritorno alla colonna sonora della propria giovinezza (o, forse, alla giovinezza stessa?) e, all’uscita, di euforica soddisfazione per aver ritrovato canzoni ed emozioni nascosti dal tempo nei cassetti più polverosi e reconditi della memoria.
Al riguardo il punto di vista di chi scrive è che comunque, rock o non rock, la musica dei Pink Floyd ha uno spessore e un valore che l’ha fatta filtrare anche fra le passioni delle generazioni successive a quelle a essa coeve e il suo resistere nei decenni l’ha ormai fatta diventata un vero e proprio “classico”, che non abbiamo trovato in alcun modo fuori luogo fra i velluti e gli stucchi scaligeri, tutt’altro!
Per quanto riguarda più strettamente l’azione scenica, è risultato interessante osservare solisti e corpo di ballo prodursi (fatte ovviamente le debite proporzioni!) in movimenti riconducibili a quelli dei loro coetanei nei luoghi del divertimento serale sotto effetti di luce che, anch’essi, richiamavano raggi laser e lampade stroboscopiche più proprie delle discoteche che di un palco teatrale.
E, ancora, questo genere di movimenti, le schiene tornite dei ballerini imperlate dal sudore e il loro respiro affaticato a cercare di recuperare le forze nei momenti in cui la coreografia li voleva fermi a terra… hanno mostrato, a chi era più sulla verticale del palco, che quello che dalla platea di solito appare come un elegante e leggero volteggiare di corpi è, in realtà, il risultato di un enorme sforzo atletico, anche quando la musica non ha l’impatto di quella elettrica di Roger Waters & C, ma la maggiore dolcezza degli strumenti di un’orchestra sinfonica.
In conclusione, nonostante l’entusiasmo manifestato dal pubblico plaudente (che, comunque, ha sempre ragione!), non ci si può però, purtroppo, esimere da un appunto: pur consapevoli che non era possibile portare il gruppo originale e che c’è chi ritiene che la musica registrata consente una migliore performance ai ballerini, restiamo convinti che il vero limite del Pink Floyd Ballet sia stato l’assenza della musica eseguita dal vivo. «Un balletto entusiasmante». «Toscanini si sarà rivoltato nella tomba!». In queste due affermazioni raccolte al termine del Pink Floyd Ballet, in cartellone alla Scala fino al 10 luglio, è contenuta molta dell’essenza di questo allestimento di Roland Petit. Scegliendo di disegnare passi di danza sulle musiche di un leggendario gruppo rock, il coreografo francese ha dimostrato, come già in altre opere, la sua capacità e volontà di oltrepassare schemi e barriere di genere perché l’arte, quando è tale, sfugge alle classificazioni rigide.Sicché l’affermazione relativa all’apprezzamento di Toscanini testimonia quanto proprio l’accostamento fra due generi musicali agli antipodi l’uno dall’altro, quantomeno nell’idea più corrente che di essi ha il pubblico, costituisca sia il limite sia la forza di questo allestimento. Se, infatti, un appassionato di balletto classico, pur apprezzando l’azione dei ballerini in scena, è rimasto al termine non del tutto convinto dalla scelta delle musiche, proprio queste stesse musiche sono state la molla che ha sicuramente attratto alla Scala tanti che, diversamente, difficilmente avrebbero messo piede nel più prestigioso teatro milanese.Prova di ciò erano la maggior parte dei commenti orecchiati: all’ingresso di grandi aspettative per una sorta di ritorno alla colonna sonora della propria giovinezza (o, forse, alla giovinezza stessa?) e, all’uscita, di euforica soddisfazione per aver ritrovato canzoni ed emozioni nascosti dal tempo nei cassetti più polverosi e reconditi della memoria.Al riguardo il punto di vista di chi scrive è che comunque, rock o non rock, la musica dei Pink Floyd ha uno spessore e un valore che l’ha fatta filtrare anche fra le passioni delle generazioni successive a quelle a essa coeve e il suo resistere nei decenni l’ha ormai fatta diventata un vero e proprio “classico”, che non abbiamo trovato in alcun modo fuori luogo fra i velluti e gli stucchi scaligeri, tutt’altro!Per quanto riguarda più strettamente l’azione scenica, è risultato interessante osservare solisti e corpo di ballo prodursi (fatte ovviamente le debite proporzioni!) in movimenti riconducibili a quelli dei loro coetanei nei luoghi del divertimento serale sotto effetti di luce che, anch’essi, richiamavano raggi laser e lampade stroboscopiche più proprie delle discoteche che di un palco teatrale.E, ancora, questo genere di movimenti, le schiene tornite dei ballerini imperlate dal sudore e il loro respiro affaticato a cercare di recuperare le forze nei momenti in cui la coreografia li voleva fermi a terra… hanno mostrato, a chi era più sulla verticale del palco, che quello che dalla platea di solito appare come un elegante e leggero volteggiare di corpi è, in realtà, il risultato di un enorme sforzo atletico, anche quando la musica non ha l’impatto di quella elettrica di Roger Waters & C, ma la maggiore dolcezza degli strumenti di un’orchestra sinfonica.In conclusione, nonostante l’entusiasmo manifestato dal pubblico plaudente (che, comunque, ha sempre ragione!), non ci si può però, purtroppo, esimere da un appunto: pur consapevoli che non era possibile portare il gruppo originale e che c’è chi ritiene che la musica registrata consente una migliore performance ai ballerini, restiamo convinti che il vero limite del Pink Floyd Ballet sia stato l’assenza della musica eseguita dal vivo. –