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Camerun

A Garoua una comunità cristiana
cresciuta con l’aiuto di tutti

Alla presenza di monsignor Delpini e don Novazzi consacrata la nuova chiesa nella parrocchia di St Jean-Marie Vianney de Ngalbidje. Il fidei donum ambrosiano don Alberto Dell’Acqua racconta il cammino che ha preceduto questo evento e il suo significato

24 Febbraio 2015

Domenica 22 febbraio, nella comunità parrocchiale di St Jean-Marie Vianney de Ngalbidje a Garoua (Camerun), dove opera il fidei donum ambrosiano don Alberto Dell’Acqua, una giornata di grande festa ha accompagnato la consacrazione della nuova chiesa, alla presenza di monsignor Antoine ‘Ntalou (arcivescovo di Garoua), di monsignor Mario Delpini (vicario generale della diocesi di Milano), di don Antonio Novazzi (responsabile dell’Ufficio di pastorale missionaria) e di altri ospiti italiani. Don Alberto Dell’Acqua racconta il cammino che ha preceduto questo evento e il suo significato

Tre anni fa ho fatto piantare di fianco al presbiterio parrocchiale due ramoscelli di Ngalbidje, alberi che hanno dato il nome al nostro quartiere e alla nostra parrocchia di St Jean-Marie Vianney de Ngalbidje, ma che negli ultimi tempi sono quasi del tutto scomparsi dal territorio.

Sarebbe troppo facile, ma non renderebbe ragione alla verità, paragonare i due ramoscelli – allora alti solo pochi centimetri e adesso cresciuti arrivando a toccare i due metri di altezza -, alla crescita della comunità cristiana di Ngalbidje in questi suoi primi cinque anni di vita parrocchiale. Arrivando qui, infatti, non ho trovato solo “ramoscelli” che in questi cinque anni sono diventati “alberi”: ho avuto invece la fortuna di essere accolto da una bella comunità cristiana, vivace, dinamica e già abbastanza ben formata, nonostante fosse solo un settore della vasta parrocchia di St Pierre di Garoua e potesse beneficiare della presenza di un prete solo due volte alla settimana.

Per questo la mia prima e più grande attenzione è stata fare in modo che la presenza ormai quotidiana di un prete non portasse questa comunità a “incrociare le braccia” e a diventare passiva. Ho invece tentato di mettermi al suo fianco e di camminare con la gente, in modo tale da contribuire a stimolarci reciprocamente nella formazione e nell’impegno cristiano di ciascuno.

La comunità è cresciuta quantitativamente e qualitativamente, e nel giro di pochi anni è riuscita a fornirsi di strutture parrocchiali fondamentali quali il presbiterio e la chiesa. Ma questo è stato possibile anche grazie al grande impegno economico della popolazione locale, al contributo dell’arcivescovo di Garoua, ai tanti aiuti ricevuti dalla diocesi di Milano attraverso la Fondazione Lambriana, l’Ufficio di Pastorale Missionaria, la Caritas, il Seminario e i suoi superiori, i miei compagni di sacerdozio, altri amici preti e laici, oltre che di tantissime persone delle parrocchie di San Vittore in Villa Cortese, di SS. Maria Assunta a Gallarate e di Regina Pacis e SS. Giacomo e Donato a Monza.

Nella nostra giovane comunità non sono mancate nemmeno le fatiche… realmente paragonabili alle difficoltà incontrate con le due pianticelle di Ngalbidje che, crescendo, sono state minacciate prima dalle capre e poi dalle mucche. Costruivamo recinzioni sempre più alte per proteggerle, ma arrivavano animali sempre più alti a danneggiarle. Dopo averle protette dalla voracità delle mucche, per scherzo dicevo che mancavano solo le giraffe (che qui non ci sono…).

Non ho avuto la gioia di gustare i dolci e piccoli frutti neri dei due Ngalbidje che ho piantato. Sarei invece bugiardo se dicessi di non aver assaporato tanti “buoni frutti” di persone della nostra comunità e della comunità stessa nel suo insieme. Per questo la consacrazione della nuova chiesa è stata l’occasione per rendere grazie al Signore e consacrargli soprattutto la vita di ciascuno di noi e della nostra comunità.