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Intervista

Ac, laici impegnati
per trasmettere la fede

La presidente diocesana Silvia Landra riflette sulla mobilitazione di «tutti i fedeli e, in modo decisivo, i laici» sollecitata dall’Arcivescovo l’8 settembre

di Luca COSTAMAGNA

14 Settembre 2014

Nell’omelia del Pontificale che ha dato avvio al nuovo anno pastorale, il cardinale Scola ha richiamato il compito prezioso dell’educazione alla vita buona che «deve mobilitare tutti i fedeli e, in modo decisivo, i laici». Ne parliamo con Silvia Landra, presidente dell’Azione cattolica ambrosiana.

In che modo l’Azione cattolica intende rendere concreti i suggerimenti e le provocazioni della Nota pastorale La Comunità educante?
Vivendo innanzitutto quel richiamo all’«insieme» che più volte l’Arcivescovo suggerisce. L’Ac da sempre non si pone come “comunità a sé”, ma dentro la comunità cristiana. Ai più piccoli occorre trasmettere una fede testimoniale che dica l’esperienza credente e l’appartenenza alla Chiesa come forme di gioia incontenibile. Un contributo importante è la formazione degli adulti: la lectio nei Decanati, il servizio ai Gruppi di ascolto della Parola, l’itinerario per i fidanzati e le famiglie, il percorso formativo rivolto a tutti i cristiani adulti (spesso conosciuto e sviluppato anche da gruppi non espressamente associativi) sono strumenti e servizi che quest’anno saranno vissuti nell’attenzione particolare a riflettere sulla propria responsabilità educativa. Molti in Ac sono insegnanti, catechisti, animatori d’oratorio, educatori professionali. A partire dai diversi ruoli e servizi che esprimono, possono contribuire responsabilmente a realizzare questo volto della comunità che si prende cura dell’iniziazione cristiana con attenzione e competenza, in modo unitario e condiviso.

La formazione è quindi un fondamento importante, nella sua “dinamicità”…
Sì, perché maturi nei laici uno stile di partecipazione, di rispetto reciproco, di autentica capacità di lavorare insieme e di perseguire gli stessi obiettivi nella valorizzazione delle diversità. Questo è lo stile della comunità educante che ci viene richiamato. Penso poi alla questione radicale della fede che fonda la comunità educante e alla quale il Vescovo si riferisce in modo inequivocabile: «Gli adulti che formano la comunità educante non si incontrano solo per organizzare cosa fare con i ragazzi/e, ma per vivere in prima persona l’esperienza della fede e della comunione».C’è in gioco la possibilità di essere adulti che vivono un’interiorità ricca, una vera unità di vita, una felicità possibile e non la frammentazione e la vita “a compartimenti stagni” che anche il Cardinale richiama nella nota come esperienza dolorosa del nostro tempo. Adulti felici di vivere e di credere sono prerogativa per la crescita di ragazzi altrettanto forti che si preparano a scelte importanti.

A volte i giovani sono visti come “il problema”, o peggio come dei soggetti “esterni” da educare…
Come Ac vorremmo contribuire a essere una comunità e anche una società civile che guarda ai giovani con una speranza non troppo retorica: parlare meno dei giovani come problema e parlare di più con loro, condividendo con loro, gli adolescenti e i ragazzi, l’esperienza della vita comunitaria, della fede e del servizio. Puntiamo sul dialogo intergenerazionale e sulla cura al suo interno con momenti unitari, coinvolgendo insieme adulti e giovani. I ragazzi si educano a essere protagonisti e ad avvertire che molto può cambiare anche grazie a loro.

L’Arcivescovo, riflettendo sulla situazione della società civile, ha invitato i laici a «trovare, suggerire spazi e possibilità di riflessione e di impegno»…
Tra gli spazi, voglio sottolineare in particolare la proficua collaborazione con l’Ufficio catechistico della Diocesi nell’elaborare la proposta formativa per i catechisti. Siamo chiamati a co-progettare momenti residenziali di spiritualità rivolti proprio ai catechisti dell’iniziazione cristiana.