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Riflessione

Basta sopportazione,
da questa piaga si può guarire

I femminicidi producono in un anno il doppio delle vittime rispetto alla mafia. La violenza domestica nega la sacramentalità del matrimonio

di Roberto DAVANZO Direttore della Caritas Ambrosiana

25 Novembre 2012

Ogni anno in Italia vengono uccise dai loro partner (mariti, fidanzati, o ex) più di 100 donne: più o meno il doppio degli omicidi mafiosi. Il dato è allarmante e vale la pena ricordarlo in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. E aggiungo che vale la pena che a ricordarlo sia proprio un sacerdote.

I femminicidi, consumati spesso dentro le mura domestiche, infatti non possono non interrogare un prete, come me, che sull’altare ha consacrato nel suo quasi trentennale servizio sacerdotale ormai decine di unioni e più in generale non può non far sorgere qualche domanda nelle comunità dei credenti, che al matrimonio continuano ad attribuire un valore appunto sacro e dunque, inviolabile. In che senso va intesa la sacramentalità del vincolo matrimoniale, quando questa relazione è segnata dalla violenza?

Una risposta chiara l’ha data recentemente l’arcivescovo Gualtiero Bassetti, ai fedeli della sua diocesi, quella di Perugia-Città delle Pieve, sconvolta dall’omicidio di Ovidio Stamulis, il 17enne ucciso dal compagno della madre a Pietrafitta di Piegaro. Scrive il presule, dalle colonne del settimanale diocesano La Voce, che «la violenza all’interno del nucleo familiare rende impossibile l’autentica relazionalità interpersonale e crea pertanto una situazione in assoluta contraddizione con il matrimonio e – nel caso di battezzati – con la sua sacramentalità».

«Le relazioni di coppia e familiari improntate al dominio dell’uomo sulla donna e sui figli – continua l’Arcivescovo – rendono vana la possibilità stessa per la famiglia di accogliere e trasmettere autenticamente il Vangelo». Per questa ragione conclude il Pastore «la violenza all’interno del nucleo familiare rende l’esperienza familiare devastante ai fini dell’educazione dei figli e della trasmissione della fede».  E dunque, «di fronte ad un tale fenomeno che ha provocato e provoca ogni giorno lutti e sofferenze inaudite», i parroci o chi ha la responsabilità di dirigere uffici pastorali, quando vengono a conoscenza di casi di violenza domestica, devono porsi come primo obiettivo la tutela delle vittime, «evitando la coabitazione del soggetto violento con gli altri membri del nucleo familiare e con la denuncia alle pubbliche autorità». L’obiettivo di “salvare il matrimonio” e ristabilire la coabitazione viene dopo: «Potrà ragionevolmente essere perseguito solo al termine di un percorso di ristrutturazione dei meccanismi di convivenza familiare».

Mi pare un ragionamento limpido, che spazza via il campo da ogni equivoco, e che mi rincuora anche come direttore appunto di un ufficio pastorale. Sin dal 1994 Caritas Ambrosiana si occupa di maltrattamento intra-familiare, con un’apposita area e un servizio specifico (Se.D. – Servizio disagio donne). Nel triennio 2009-2011 sono pervenute al servizio quasi 600 telefonate di richiesta di aiuto; l’ascolto e l’accoglienza delle loro richieste ha condotto a ospitare circa 40 donne in strutture residenziali della rete Caritas e ad accompagnarne molte altre.

Questi dati sono solo la punta dell’iceberg; sappiamo infatti che sono molte le situazioni accolte nei centri di ascolto della Diocesi, o ascoltate dai sacerdoti nelle parrocchie. Ma bisogna fare molto ancora sul piano culturale ed educativo. Occorre affermare che dalla violenza si può uscire. L’invito alla sopportazione, ancora così fortemente radicato nella nostra cultura, non può essere accettato: la violenza va denunciata e le donne devono sapere che possono essere tutelate e sostenute. Infine non si possono dimenticare gli uomini. Protagonisti negativi di questo discorso siamo noi, i maschi creati assieme alle donne a immagine di Dio.

La Bibbia ci istruisce fin dalle prime battute che «Dio creò l’uomo a sua immagine; …maschio e femmina li creò» (cfr. Gen 1,27). Questo significa che l’immagine di Dio funziona solo nella relazione bella e armonica tra uomo e donna. La lotta alla violenza nei confronti delle donne non è solo una questione di diritti, ma è legata all’immagine stessa del Dio che vogliamo comunicare.