Share

Anniversario

Bramante, 500 anni fa moriva
il genio dell’arte rinascimentale

Era l'11 aprile del 1514. A Milano Donato di Pascuccio detto Bramante aveva trascorso un lungo e fruttuoso periodo della sua vita, alla corte degli Sforza, lasciando tracce indelebili in tutto il territorio lombardo. Alla ricerca dei suoi capolavori, e di quanti si ispirarono a lui, dal celebre finto coro prospettico di Santa Maria presso San Satiro alla tribuna di Santa Maria delle Grazie, passando per Busto Arsizio e Abbiategrasso

di Luca FRIGERIO

9 Aprile 2014

«Persona molto allegra e piacevole», dice il Vasari di Bramante. Come, del resto, ci svelano le sue rime burlesche, i suoi scritti arguti. Ma non solo. Attorno al 1492, Bramante accettò di decorare la casa milanese di Gaspare Visconti. Vi dipinse guerrieri e cortigiani, in abiti moderni ma con atteggiamenti all’antica, inseriti in spazi architettonici dall’ardita prospettiva.

Nello studiolo dell’amico umanista, poi, l’urbinate affrescò le figure di due filosofi, Eraclito e Democrito, in lacrime il primo, sorridente il secondo (oggi esposti alla Pinacoteca di Brera). Si tratta, forse, di un’amabile presa in giro del suo illustre collega, Leonardo da Vinci, qui idealmente ritratto nelle vesti del saggio lamentoso. Mentre Bramante, neanche a dirlo, si sarebbe raffigurato nel divertito Democrito…

Un po’ di antagonismo, del resto, tra Leonardo e Bramante, alla ricca, fastosa corte degli Sforza dovette pur esserci. Un confronto tra due personalità straordinarie, tra due talenti di primissimo ordine, capaci di rivoluzionare l’arte e la cultura figurativa dell’Europa occidentale. Ludovico il Moro li fece lavorare alle sue dipendenze, affidando a entrambi incarichi prestigiosi, gratificandoli del titolo di ingegneri ducali, riunendoli infine nel progetto che più gli stava a cuore: il complesso di Santa Maria delle Grazie.

Leonardo fece scuola, già durante l’esperienza milanese, ancor più negli anni a seguire. Ma anche Bramante fu maestro. A Milano, come nel resto del ducato, mise mano un po’ ovunque, tanto che ancor oggi gli si attribuiscono molte opere in terra lombarda, a ragione o a torto. Ma la paternità autografa non è poi tanto importante, a ben considerare. Quel che conta è il rinnovamento portato dalla sua arte, dal suo modo di concepire l’architettura. Ed è in questo senso che l’aggettivo “bramantesco” viene usato ancor oggi con tanta liberalità.

Donato di Pascuccio detto Bramante moriva l’11 aprile 1514, cinquecento anni fa, a Roma, alla corte di quei pontefici rinascimentali ai quali stava dando una nuova basilica di San Pietro per una nuova Chiesa. Ma per celebrare questo significativo anniversario, non c’è forse omaggio più vero – anche in mancanza, sorprendentemente, di celebrazioni e iniziative “ufficiali” – che ripercorrere le tracce cospicue del suo lungo soggiorno ambrosiano, protrattosi nell’ultimo ventennio del XV secolo, ricostruendo proprio attraverso i suoi lavori la sua molteplice personalità di architetto, pittore, disegnatore e scrittore.

A cominciare dalla sua impresa milanese forse più celebre, il finto coro prospettico diSanta Maria presso San Satiro. Un “admirabile artificio”, come lo definì prontamente lo Sforza committente, ideato da Bramante per simulare in poco più di un metro di profondità un’abside reale che non poteva essere realizzata a causa della strada passante a ridosso della chiesa, l’attuale via del Falcone. Il risultato, come ancor oggi possiamo ammirare, è la dilatazione di uno spazio fisico in uno spazio solo rappresentato, che il geniale marchigiano attuò con inimitabile virtuosismo per mezzo di un bassorilievo colorato e dipinto, dimostrando al mondo la sua maestria, insuperata, quale pittore di sfondi architettonici.

In Santa Maria presso San Satiro Bramante progettò anche la splendida “sacrestia”, riprendendo la tradizione dei battisteri lombardi, tardoantichi e romanici, ma reinterpretandola secondo gli aurei canoni proporzionali da lui stesso codificati e in base alla sua ricerca di un’illuminazione zenitale (con oculi aperti nella cupola, come nella citatissima incisione Prevedari, l’unica sua autografa, del 1481).

Ma se si parla di “cupola”, l’autentico capolavoro bramantesco è in Santa Maria delle Grazie. Anche se manca un documento inequivocabile riguardo a un suo incarico per la progettazione, nessuno oggi osa dubitare della paternità di Bramante di questa straordinaria architettura che, seppur in parte debitrice delle intuizioni di Brunelleschi, si staglia sul finire del Quattrocento per le inaudite soluzioni formali, in un repertorio sorprendente di citazioni classiche, intrecciate con il più raffinato patrimonio simbolico del cristianesimo patristico e medievale.

Ma l’itinerario bramantesco in terra ambrosiana potrebbe continuare attraverso i chiostri di Sant’Ambrogio (oggi sede dell’Università Cattolica), la Cappella Pozzobonelli accanto alla Stazione Centrale, il santuario di Santa Maria alla Fontana, la Cappella Trivulzio (atrio della basilica di San Nazaro a Milano). Senza tralasciare le chiese di Santa Maria di Piazza a Busto Arsizio, della Beata Vergine dei Miracoli a Saronno, di Santa Maria Nuova ad Abbiategrasso… O la magnifica piazza di Vigevano, celebrata come il "salotto d’Italia"…
Tracce, memorie, intuizioni che hanno fatto la storia dell’arte.