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Liturgia

Ecco l’ingresso del Messia

Il Lezionario ambrosiano, conservando la proclamazione di questa pagina in Avvento secondo una tradizione della più alta antichità cristiana, affida a essa il compito di richiamare il ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi

di Luigi NASON

30 Novembre 2011

«Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!"» (Mc 11,1-11).

Al centro della liturgia di questa domenica è il tema dell’ingresso del Messia. Il Lezionario ambrosiano, conservando la proclamazione di questa pagina in Avvento secondo una tradizione della più alta antichità cristiana, affida ad essa il compito di richiamare il ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi. La liturgia, «quanto più il trascorrere dei giorni ci avvicina il prezioso Natale di Cristo» (orazione dopo la comunione), ci invita a disporre il cuore e la vita all’incontro con Gesù, che vuole fare il suo ingresso per essere presente nella nostra vita e nella storia di ogni uomo.

Ancora una volta, però, non viene meno la nostra libertà e la nostra responsabilità nell’accogliere «colui che viene»: «Vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate -, possiate progredire ancora di più» (1Ts 4,1). Tocca a ciascuno accogliere il Signore Gesù, attraverso l’ascolto della sua Parola, che diventa preghiera umile e fiduciosa capace di «rendere saldi i cuori» (1Ts 3,13) e di tradursi in gesti di carità fraterna nella quotidianità della vita in famiglia, del lavoro, dello studio, dei rapporti con le persone.

Se l’episodio dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme è immagine della sua seconda venuta, la liturgia di questa domenica non si offre come esclusiva preparazione immediata al Natale, agli «inizi» del mistero della redenzione, ma al suo compimento nella Pasqua. Lo stesso «agnello» richiamato dalla Lettura di Isaia (16,1-5) è, nell’interpretazione patristica, immagine del Signore Gesù, l’Agnello di Dio, prezzo del nostro riscatto, colui che sceglie la via della mansuetudine e dell’umiltà per il suo ingresso nel mondo e sarà, al compimento della storia, il «giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia». L’annuncio profetico suscita e alimenta l’attesa d’Israele: il Signore è presente, con la sua gloria e la sua mitezza, in mezzo al suo popolo e lo guida sulla via della rettitudine e della giustizia.

Come nel suo ingresso a Gerusalemme, Gesù proveniva da oriente, dal monte degli ulivi, così sarà alla fine dei tempi, «perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda. E poiché nella prima abbiamo acclamato: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore", la stessa lode proclameremo nella seconda» (Cirillo di Alessandria, Catechesi).

 
Il Signore si ricorderà della sua «alleanza eterna»

Il profeta Ezechiele, i Dodici profeti (Sofonia e Osea) e il Vangelo secondo Matteo ci accompagnano in questa settimana i cui primi giorni offrono la stupenda allegoria della storia d’Israele, dispiegata in tre tempi (Ez 16,1-43) riletti dai discepoli del profeta (Ez 16,44-58 e 59-63): inizia con un richiamo delle premure del Signore per Gerusalemme, fanciulla straniera abbandonata da una madre indegna, che viene resa sposa e regina. All’iniziativa gratuita del Signore risponde, però, l’infedeltà di Gerusalemme che si prostituisce. Perciò il Signore pronuncia la condanna riservata alle adultere, ma non si ferma alla condanna perché la sua fedeltà è più forte delle infedeltà d’Israele. Emerge l’unilateralità dell’«alleanza eterna», annunciata dal Signore, che riposa interamente sul suo perdono: «Ma io mi ricorderò della mia alleanza con te» (16,60).

Alla fine di Gerusalemme (587 a.C.) gli esiliati ripetevano il proverbio che Ezechiele cita all’inizio del c. 18 (letture del 7 e 8 dicembre, sostituite da quelle proprie): «Mi fu rivolta questa parola del Signore: "Perché andate ripetendo questo proverbio sulla terra d’Israele: i padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?"» (18,1-2). Il proverbio riflette la teologia tradizionale per cui la tragica situazione del presente è conseguenza ineluttabile del passato.

Il profeta contesta questo fatalismo e annuncia una novità sconvolgente: certo il male compiuto da ciascuno ha conseguenze nella storia, l’esilio costituisce una prova delle conseguenze del male, ma rivela anche che la misericordia del Signore attraversa la storia. Il "castigo" è intrinseco al peccato stesso in quanto scelta che conduce alla rovina e alla morte. Dio non è ambiguo e la sua giustizia è la sua misericordia che tende sempre e solo alla vita: perciò Egli offre un nuovo inizio. L’esilio ha condotto Israele a plasmare la propria identità, rileggendo con occhi nuovi la sua storia.

La liturgia passa poi alla terza parte del libro di Ezechiele: Ez 36,1-15 (venerdì e sabato) costituisce la seconda parte di un dittico la cui prima parte si trova nel capitolo 35 con i tre oracoli contro Edôm che approfittando della conquista babilonese si era impadronita della parte meridionale di Giuda. Per questo gli oracoli profetici sono fortemente astiosi. Ma la minaccia contro chi rappresenta tutti i nemici d’Israele sfocia nella promessa agli esiliati. Sulle alture, ancora più desolate per i saccheggi e le devastazioni, risuona l’annuncio della trasformazione del deserto in un giardino che si risveglia a primavera: «E voi, monti d’Israele, mettete rami e producete frutti per il mio popolo Israele, perché sta per tornare» (36,8). Il Signore prepara per il suo popolo, che sta per tornare dall’esilio, una terra rigogliosa: «Farò abbondare su di voi uomini e bestie e cresceranno e saranno fecondi: farò sì che siate popolati come prima e vi elargirò i miei benefici più che per il passato e saprete che io sono il Signore» (36,9-12). I figli d’Israele hanno sperimentato la lontananza dalla terra e sono ora in grado di accoglierla come dono del Signore, non come conquista di uomini che ne diventano predatori divorandosi tra loro: «Così dice il Signore Dio: "Poiché si va dicendo di te: Tu divori gli uomini, tu hai privato di figli il tuo popolo, ebbene, tu non divorerai più gli uomini…"» (36,13-14).

I testi dei Dodici profeti attenuano i toni di condanna per annunciare il ritorno ormai prossimo del Signore, che porterà la salvezza al suo popolo: «Così dice il Signore Dio: "Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura…"» (Sof 3,14-20 – lunedì).