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Caritas

Emergenza Nord Africa,
fondamentali le relazioni sul territorio

L’accoglienza si è basata su una “rete” a cui hanno collaborato istituzioni, enti no profit e volontariato. Le significative esperienze di Magenta ed Erba al centro della presentazione del Rapporto Immigrazione

di Cristina CONTI

26 Gennaio 2014

Una rete di accoglienza fatta di istituzioni, enti no profit e volontariato: così i profughi nordafricani sono stati accolti nella nostra Diocesi. Esperienze al centro del convegno di presentazione del Rapporto Immigrazione 2013, che presta particolare attenzione all’Emergenza Nord Africa.

«Il Governo aveva previsto un piano secondo cui ogni regione avrebbe dovuto ospitare un numero di persone proporzionale ai cittadini italiani che vi abitavano. Ogni Prefettura ha poi individuato posti di accoglienza ulteriori rispetto a quelli ordinari della Caritas», spiega Luca Bettinelli, responsabile area stranieri di Caritas Ambrosiana. Sul territorio si sono quindi sviluppate collaborazioni diverse, che hanno coinvolto operatori professionali e volontariato con modalità differenti. Parrocchie, pensionati e centri di accoglienza hanno aperto le loro porte per aiutare i profughi. «Ognuno ha dato una mano secondo le sue competenze – aggiunge Bettinelli -. Da un lato c’è stato un intervento più burocratico, per esempio per compilare i moduli per richiedere il permesso di soggiorno; dall’altro sono state attivate borse lavoro da parte della Caritas. Mentre i volontari hanno avuto un ruolo molto significativo, soprattutto nella dimensione di relazione, accompagnamento e socializzazione».

La prima accoglienza è stata nel Residence Ripamonti di Pieve Emanuele, che ha ospitato circa 400 persone, poi trasferite in altri centri del territorio. A Milano sono state accolte circa 350 persone in una trentina di strutture. Alcune centinaia i volontari coinvolti. «Le realtà più piccole sono riuscite a coinvolgere tutta la comunità nell’accoglienza – sottolinea Bettinelli -. Una coppia ospitata in una parrocchia di Milano, per esempio, ha avuto un bambino e tutta la comunità ha partecipato al battesimo».

Esempi significativi sono quelli di Magenta (Mi) ed Erba (Co). Nella prima, nel maggio 2011, sono arrivati 25 profughi, ospitati in un pensionato gestito dalla Curia e chiuso nel febbraio 2012. Sono così rimasti solo dieci profughi. «All’inizio abbiamo dovuto assisterli nella preparazione dei documenti per rimanere in Italia – ricorda Aurelio Livraghi, volontario della Caritas locale -. Parallelamente hanno frequentato corsi di italiano e di formazione professionale per introdursi nel mercato del lavoro». E non è tutto. I profughi sono diventati anche attori. Tre compagnie locali li hanno fatti partecipare ai loro spettacoli, in tre o quattro repliche andate in scena anche a Rho e a Settimo Milanese, con un buon successo di pubblico. «All’inizio aiutarli non è stato semplice – ammette Livraghi -. Non ero abituato a girare per Prefetture e Questure. I primi arrivati erano francofoni e fortunatamente sapevo bene il francese. Poi però sono arrivati gli anglofoni: allora ho dovuto seguire un corso tenuto da docenti del liceo linguistico che si sono messe a disposizione».

A Erba, invece, i profughi sono stati inseriti nella rete di servizi già esistente. Così, per esempio, durante i corsi di italiano hanno potuto conoscere altri stranieri del territorio e formare una prima rete di relazioni. «Per facilitare il loro ingresso nel mondo del lavoro sono stati progettati corsi ad hoc, per diventare saldatori o elettricisti di impianti civili – spiega Giovanna Marelli, responsabile Caritas dell’Unità pastorale di Erba -. Ma queste iniziative sono servite a poco, perché oggi è difficile trovare un’occupazione anche per gli italiani». Solo una persona, in effetti, è riuscita a farsi assumere. Dopo l’accoglienza in hotel o in strutture della Caritas, alcuni sono partiti, mentre altri sono rimasti e vivono insieme in alcuni appartamenti. «C’è anche chi è tornato qui, dove ha mantenuto legami – conclude Marelli -. Le relazioni sul territorio sono la condizione fondamentale per permettere a queste persone di costruirsi un progetto di vita che vada oltre la sussistenza».