Share

30 maggio

Famiglia, una scuola
per apprendere il senso del lavoro

Le responsabilità dei genitori: promuovere nei figli l’attitudine al servizio, insegnare loro gratuità e disciplina, riscoprire la relazione con gli altri per dare senso alla vita

di Loris CANTARELLI

30 Maggio 2012
Mrs. Castillo (Spagna)

Padre Ugo Sartorio, direttore del Messaggero di S. Antonio – moderatore della tavola rotonda su “Aiutare i figli a scoprire il senso profondo del lavoro” nella seconda sessione pomeridiana – ricorda in apertura che forse oggi, come ha scritto qualcuno, «l’educazione è finita», ma di certo è sfinita, dato l’assedio a cui è sottoposta… In un periodo di bassa tensione educativa, anzi avocazionale, in cui non ci si rifà abitualmente né all’altro, né all’Alto, oggi più che mai l’educatore è anzitutto un testimone. Come dice il cardinale Scola nel recente Famiglia, risorsa decisiva (Edizioni Messaggero Padova 2012), non si può dire senza dirsi, né dare senza darsi,

Il primo a intervenire è Gerardo Castillo Ceballos, docente di Pedagogia all’Università di Navarra, che insieme alla moglie Julia Albarrán ha cresciuto 6 figlie e 22 nipoti. L’invito pressante è a superare la mentalità utilitaristica della società di oggi, ricordando la totalità della persona richiamata da Giovanni Paolo II che vale anche per la famiglia: una scuola in cui si aiuta ogni figlio a scoprire il senso profondo del lavoro, che favorisce l’umanizzazione dell’uomo e delle sue relazioni famigliari e sociali. Il lavoro è anzi occasione e mezzo per sviluppare le proprie capacità e crescere nelle virtù umane e cristiane. Dai genitori ci si aspetta che promuovano nei figli l’abitudine del lavoro, stimolandoli con il proprio esempio e con l’attitudine al servizio. Necessario quindi favorire situazioni ed esperienze di lavoro domestico, con studio e lavori occasionali che aiutino a crescere. Allo stesso modo, spetta ai genitori aiutare i figli a scoprire la propria vocazione “di vita”, parallela alla scoperta della vocazione cristiana.

Tocca poi a Antoine Renard – presidente delle Associations Familales Catholiques e della Fédération Familiales Catholiques en Europe – ribadire insieme alla moglie Anna Isabelle quanto, nella società competitiva di oggi, la gratuità e la disciplina vadano riscoperte da tutti e insegnate ai più giovani come valori positivi per vivere una vita piena e liberante.

Chiude gli interventi Eugenia Scabini, a lungo direttore del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia e fino all’anno scorso preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano. Nota come già l’inserire il termine “lavoro” nel titolo dell’Incontro mondiale delle Famiglie indica una sfida culturale su cui non va abbassata la guardia.Già nell’enciclica Laborem Exercens (1981), Giovanni Paolo II descriveva la famiglia come «prima scuola di lavoro» (n. 9), ed è vero: nelle mura domestiche s’impara a portare a termine quello che si fa, dando a esso un esito, nonché a collaborare riconoscendosi responsabili di comuni ambienti di vita. In famiglia si sperimenta che non ci si realizza da sé, ma che la relazione con gli altri è essenziale per dar senso e sostanza alla propria vita: un modo di vedere e di pensare da trasferire anche nel concepire la professione, pienamente parte della propria vocazione ed elemento cruciale nel costruire una compiuta identità adulta.

Un secondo “giro di tavolo” tra i relatori – in cui si è tra l’altro notato come, più che di «piacere», è più corretto parlare di «gusto» nel proprio lavoro – ha infine mostrato come l’e-ducare sia quindi ben più che «tirar fuori» il progetto che ognuno di noi ha dentro, bensì anche un «nutrire» e un «condurre» che dà la direzione per affrontare la realtà in modo positivo.