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Gocce di cultura

Francesco Facchinetti – Domenico Liggeri, Quello che non ti aspetti

Sperling & Kupfer, Milano 2008

di Felice Asnaghi

19 Maggio 2014

Va di moda, nel pieno della crisi dell’editoria, non c’è artista che non si cimenti in una biografia. Non fa eccezione Francesco Facchinetti che nel 2008, alla giovane età di ventotto anni, dà alle stampe “Quello che non ti aspetti”, scritto a quattro mani con Domenico Liggeri professore universitario, affermato autore di programmi televisivi e regista di videoclip di successo. La copertina è il manifesto della vita dell’artista: giochi, copertine di dischi, automobiline, fumetti, scarpe da calcio, fotografie, passaporto, carta d’identità e fotografia, il tutto rigorosamente a colori e  in rilievo. Un evento, di per sé, che non fa notizia eppure leggendo queste 307 pagine ci si accorge che vi è un quid che in altri libri dello stesso genere non si trova. Facchinetti nella sua innata generosità e spropositata bontà d’animo parla di Cristo come fedele compagno della sua vita: ne scrive come se fosse lì presente, hic e nunc, vi sembra poco?
L’incipit della narrazione è dato dalla sgradita visita dei ladri nella sua casa di Mariano Comense. Tutto è messo sotto sopra, così Francesco si trova a dover riassettare la casa rimettendo gli oggetti, sparsi un po’ dovunque, nei cassetti. È l’occasione propizia per trasformare un trauma in un’opportunità, così ogni oggetto ritrovato è motivo di profonda riflessione sulla sua vita: dalla nascita, al rapporto con i genitori, allo scarso impegno scolastico, alle amicizie, ai grandi incontri che hanno segnato la vita e il lavoro. Francesco passa dai toni spensierati, alla serietà di alcune circostanze, da questioni sentimentali (o meglio sessuali) il cui confine tra realtà e fantasia non è così ben marcato, a scelte di campo chiare che fanno dell’artista un uomo vero o come direbbe lui, con gli attributi maschili.
Il 2 maggio 1980 nasce Francesco, figlio del cantante di una band famosa (gli Winnie, sic!) e di una modella che studia di artista. Un papà ormai uomo fatto, con già due figlie e un matrimonio alle spalle e una mamma ancora ragazza appena diciannovenne ma che sa quello che vuole. Allevato a latte e canzoni. On the road per l’Italia a bordo di un camper, passa da una città all’altra, da uno stadio all’altro, da un concerto all’altro.
Un’unione durata poco, il tempo giusto di mettere al mondo un figlio e di sperimentare un amore totale.

Mamma ha amato papà in maniera smodata, l’unica donna che ho visto innamorata di un artista, sia come uomo, sia come creativo. Perché dopo un po’ la donna che sta con un artista va in contrasto con una parte di lui, magari non con la persona ma con l’alter ego creativo, perché l’arte pretende spesso la massima se non totale dedizione, distraendo da tutto il resto, moglie compresa. Lei invece ha talmente amato la dimensione artistica di papà che non si è sentita mai mettere in secondo piano, ma ha accettato con gioia anche di venire dopo la musica. Amando così tanto, ha cercato di renderlo felice, quindi si è impegnata ha riunire il più possibile la famiglia, affinché fosse realmente coesa. Ce l’ha fatta.

Francesco propone due bei quadretti delle famiglie dei nonni paterni e materni. Il nonno materno ha fatto la campagna di Russia, per sopravvivere ha mangiato carne umana. Profondamente segnato dalle nefandezze del fascismo, è stato partigiano e per quarant’anni ha fatto l’operaio alle acciaierie di Dalmine. La nonna è una donna di grande tempra che “ha tirato su cinque figli con la forza dei muscoli e della volontà”e Francesco aggiunge:

È stata per me una seconda mamma, soprattutto da quando ho dovuto lasciare la casa bergamasca dopo la separazione dei miei. L’unico asilo che mi abbia voluto: quando tutte le scuole materne mi hanno chiuso le porte, lei mi ha aperto le braccia.

Dalla parte della madre, c’è stato un nonno tutto di un pezzo, grande ufficiale del lavoro, ma anche un balilla. Prigioniero degli americani salva un ufficiale da un mitragliamento aereo e per ringraziamento è liberato. Ritorna in patria dopo sette anni di detenzione. Costruisce un’azienda alimentare dando lavoro alle persone e soprattutto diviene un grande filantropo. La moglie è casalinga e accudisce i cinque figli. Una famiglia felice e serena.

Francesco non può che trarne delle conclusioni:
Due famiglie che sono appartenute a mondi diametralmente opposti, addirittura configgenti, per la Storia, ma anche per il censo e la società. Andare da un nonno all’altro significava percorrere l’intero arco costituzionale e con esso tutte le contraddizioni che si possono trovare al mondo. Fare la spola tra loro due ha arricchito ed ampliato le mie vedute, facendomi comprendere prima come si divide il mondo, per poi suggerirmi come lo si possa unire (…) La civiltà e l’educazione di entrambe le famiglie dei miei genitori ne ha consentito una serena convivenza. (…). Mi hanno dato insegnamenti comuni: l’onestà, la dedizione per il lavoro, la generosità.

I primi anni di vita sono trascorsi a Bergamo alta. Oltre alle cure della mamma Rosaria e della nonna materna, Francesco passa la maggior parte del tempo libero con due folli: un matto e un barbone che gli fanno da baby-sitter. La stessa madre non pone problemi a questa strana amicizia, anzi li considera i migliori compagni che il figlio può avere e di fatto viene ripagato in affidabilità e serietà di comportamento.
Gli anni della scuola dell’obbligo sono contrassegnati dall’abitudine a essere considerato l’ultimo della classe, dalle sue intemperanze sono proverbiali e dall’incomunicabilità con i compagni e i professori.
Nel frattempo Francesco fa la Prima Comunione e il rapporto con Gesù comincia a consolidarsi. Qui è la madre che educa il figlio alla vita cristiana, lei sa che attraverso la preghiera o il semplice segno della croce si esprime il significato ultimo di un popolo, tramandato da madre a figlio di generazione in generazione.

La sera non andavo a letto se non recitavo con la mamma le preghiere, in particolare quella a Gesù Bambino e all’Angelo Custode. Anche l’incontro con Gesù è stato semplice, da subito un amico intimo: mi sono fidato di Lui come un bambino è capace di affidarsi a chi sa dargli una carezza.

Una fede che trova alimento e concretezza durante gli anni del Liceo classico. La presenza di don Giorgio “l’unico prete che ho sentito parlare davvero al cuore dei giovani” (sic!), gli amici di Comunione e Liberazione aiutano Francesco a maturare la propria fede, gli fanno conoscere cosa è veramente l’amicizia e lui ci si butta capofitto guadagnandone in umanità. Nel libro Francesco trascrive una frase di don Giussani che l’ha letteralmente folgorato (sic!): 

Vivere il reale.
L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi
è vivere sempre e intensamente il reale,
senza rinnegare e dimenticare nulla.

È con l’incontro con Fratel Ettore che avviene la svolta decisiva. È mamma Rosaria che lo accompagna in questo percorso di maturazione. L’impatto con questo uomo di Dio è potente. Con lui passa innumerevoli notti alla Stazione Centrale a raccogliere barboni o recitare interminabili rosari.
A Casa Betania ha come amici prostitute, malati di Aids, psicopatici e matti di vario genere e di questa esperienza ne trae una semplice e fondamentale considerazione: “Non muori mica se li tocchi. Sono sporchi, ma se li lavi e gli dai una ripulita alla fine sono persone come me”.

L’amore per la musica prima sboccia con il genere metal e naturalmente va in giro vestito tutto nero e borchiato, poi quello punk dei Sex Pistols che gli permette di esibirsi con i capelli colorati verde, blu, giallo con tanto di cresta. Fanno seguito il primo complesso e i primi concerti ed è proprio sul palco che Francesco dà il massimo: la prova tangibile che lo spettacolo e la musica scorrono nelle sue vene da sempre. Poi si fanno strada la musica e le parole di Jovannotti, l’esperienza alla discoteca Boulevard dove conosce i vip, entra nel mondo della “Milano da bere” che conta, laureandosi come dice lui in “scienze dello sballo”.

Francesco Facchinetti non si dimentica degli amici che sono morti e nel suo cuore c’è un po’ di spazio per Alfredo, Anna, Marco, Renzo. Ma lui chi è? Come si definisce? Peter Pan o Capitan Uncino? Francesco dice di immedesimarsi di più nel pirata dall’occhio bendato, “emblema dello sfigato, che perde sempre, nonostante abbia la simpatia di tutti”. Sarà, ma mi sa proprio che in quel tema giovanile su San Francesco che gelosamente ha custodito e non a caso l’effige del Santo è tatuata sulle sue costole, si ritrova l’anima bella e appassionata di Dj Francesco figlio di Roby il tastierista dei Pooh e dell’immensa Rosaria.