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EDITTO

Fu una «salutare decisione» per la società

Gli storici hanno discusso a lungo e a lungo discuteranno sulle motivazioni che portarono all’accordo tra i due imperatori Costantino e Licinio

di Marco NAVONI Dottore Biblioteca Ambrosiana

10 Dicembre 2012
Monsignor Marco Navoni

L’ultima grande persecuzione contro i cristiani nell’antica Roma pagana porta il nome dell’imperatore Diocleziano, ma fu in realtà suscitata da Galerio, suo collega nell’impero: era il 303, una data che nella Chiesa antica verrà ricordata a lungo come l’inizio della cosiddetta «epoca dei martiri». Sembrerà un paradosso, ma fu proprio lo stesso Galerio che il 30 aprile 311, a Nicomedia, con un editto di tolleranza, pose fine alla persecuzione contro i cristiani e restituì a loro i beni confiscati in precedenza.

Questa iniziale apertura nei confronti del cristianesimo verrà confermata in maniera ufficiale e definitiva di lì a due anni, nel 313, con l’accordo tra i due imperatori Licinio e Costantino, proprio a Milano, che a quel tempo era sede della residenza imperiale: è quello che comunemente viene definito l’Editto di Milano, che ci stiamo accingendo a celebrare nel 2013, in occasione del XVII centenario, e che tradizionalmente è connesso in maniera indelebile con il nome di Costantino, a tal punto che si è divulgata l’espressione di «svolta costantiniana» per marcare la data del 313. Purtroppo non possediamo il testo originale di tale Editto (o accordo), ma il riassunto che di esso ci hanno lasciato gli autori antichi è sufficientemente preciso.

Ci viene detto innanzitutto che i due imperatori si accordarono di concedere anche ai cristiani, come a tutti gli altri cittadini dell’impero, la libertà di seguire la loro religione, nella convinzione che quella che noi oggi chiameremmo «questione religiosa» (il testo dell’Editto parla letteralmente di «questioni concernenti il culto della Divinità») ha un riferimento esplicito e una ricaduta pratica sul bene comune della società. Il concetto viene poi ribadito una seconda volta al negativo, nel senso che i due imperatori presero la «salutare decisione» di non vietare a nessuno la libera facoltà di aderire, sia alla fede dei cristiani (che fino a qualche anno prima erano stati oggetto di esplicita persecuzione), sia a quella religione che ciascuno ritenga più adatta a se stesso. È interessante che venga usato l’aggettivo «salutare»: anche in questo caso si voleva esplicitare che i reggitori dello Stato intervenivano in tal senso su una questione di carattere religioso nella convinzione che ciò avrebbe avuto un riflesso «positivo» (per l’appunto: salutare) sullo Stato stesso.

Gli storici hanno discusso a lungo e a lungo discuteranno sulle motivazioni che portarono Costantino e Licinio a prendere questa decisione: se si tratta di semplice tolleranza, condita da un po’ di opportunismo, nei confronti di qualsivoglia religione, fino ad arrivare a un atteggiamo di «indifferentismo», o se davvero il 313 può essere considerato l’inizio di una «svolta». Certamente fanno pensare le parole del grande giurista Gabrio Lombardi, citate dal cardinale Angelo Scola il 6 dicembre proprio in apertura al Discorso alla città per la festa di Sant’Ambrogio di quest’anno, a inaugurazione dell’Anno costantiniano: «L’Editto di Milano del 313 ha un significato epocale perché segna l’initium libertatis dell’uomo moderno». L’Arcivescovo ammette che fu in qualche modo un «inizio mancato», come la storia successiva dimostrerà a più riprese, o con l’intolleranza di una religione nei confronti delle altre, o con l’intolleranza (che si trasformerà spesso in vera e propria persecuzione) dello Stato totalitario nei confronti dell’esperienza religiosa in tutti i suoi aspetti (pubblici e privati).

È nella delineazione di questa linea storica che l’Editto di Milano del 313 diventa per il cardinale Scola provvidenziale «occasione» per riproporre, nel suo messaggio alla città, l’insegnamento sempre attuale e urgente della dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa del Concilio ecumenico Vaticano II, con tutte le conseguenze di carattere ideale e di carattere pratico che ciò comporta.

Infatti, pur nella millenaria distanza cronologica e culturale tra i due fatti (l’Editto da un lato nel contesto del tardo impero romano del IV secolo e la dichiarazione conciliare dall’altro), l’arcivescovo Scola ha voluto giustamente collegarli come «momenti epocali» su cui riflettere e dai quali ripartire per affrontare le sfide del momento presente: se l’Editto di Milano infatti ci ricorda che la vera «tolleranza» consiste nel concedere a tutti la libertà di seguire la propria religione e, inversamente, nel non impedire l’esercizio di tale liberà, più a fondo la dichiarazione Dignitatis Humanae parla positivamente di un «diritto» innato e inalienabile, da riconoscere, tutelare e promuovere, il «diritto – ricorda l’Arcivescovo, citando alla lettera il documento conciliare – a non essere costretto ad agire contro la sua coscienza e a non essere impedito ad agire in conformità ad essa».