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“Amoris laetitia”

I preti e l’Esortazione, tempo di discernimento

Il documento è stato accolto con viva attenzione e col sincero desiderio di accompagnare i fedeli in un cammino comunitario, a testimonianza della maternità di una Chiesa che aiuta a capire

di Fausto GILARDI Penitenziere maggiore del Duomo

17 Aprile 2016

Nel Duomo di Milano, come certamente in altre chiese, l’Esortazione apostolica di papa Francesco ha avuto un’eco immediata nella richiesta dei fedeli. Alla perplessità di alcuni si è accostata la sincera volontà di capire di altri, soprattutto quando l’attenzione si è concentrata sul capitolo ottavo, «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità». In qualche caso, legato a informazioni giornalistiche parziali, si fa strada la “pretesa” dell’assoluzione e quindi la confessione è vista come un “lasciapassare” verso l’Eucaristia. Il fenomeno assume una particolare urgenza perché si avvicina il tempo delle Prime Comunioni e delle Cresime e i genitori desiderano partecipare pienamente ai sacramenti dell’iniziazione cristiana riguardanti i loro figli.

Tra gli stessi sacerdoti immediatamente si è posta la domanda: «Che cosa diciamo? Come ci comportiamo?». È un segno commovente di carità pastorale, questo interrogarsi tra preti: rivela un amore sincero per la verità, un’attenzione viva verso il magistero e una passione generosa verso i fedeli. L’interrogarsi tra preti mette in evidenza l’opportunità di un discernimento comunitario nel presbiterio. Qualcuno tra i preti, forse in maniera un po’ sbrigativa ed efficientista, ha aperto uno “sportello” di consultazione, dando l’idea che «possa concedere rapidamente eccezioni» (Amoris Laetitia, 300). Non è certamente questo il modello proposto dalla Esortazione apostolica, anzi il testo del Papa dice: «Con un pastore che sa riconoscere la serietà della questione che sta trattando, si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale» (300).

L’espressione che ripetutamente troviamo nell’esortazione è «cammino di discernimento». Questo dice subito che c’è un itinerario da compiere secondo tempi e modalità che variano da situazione a situazione. Si richiama l’importanza della gradualità. In questo itinerario è prima di tutto necessario riflettere sulla realtà del Sacramento del Matrimonio. Opportunamente, durante la conferenza di presentazione del documento, si è insistito perché la lettura del testo non arrivasse immediatamente al capitolo ottavo, anche se di fatto i mass media hanno indirizzato lo sguardo su situazioni di fragilità. Papa Francesco – con concretezza e con linguaggio sapienziale che ormai conosciamo – dice la bellezza del disegno di Dio, dove l’indissolubilità non è un peso, ma l’esigenza iscritta nell’amore che è tale quando è «per sempre» (cfr 123): «Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza» (307).

Al n. 308 si legge: «I presbiteri hanno il compito di accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo». Certamente il presbitero saggio cerca di comprendere l’insegnamento della Chiesa e attende gli «orientamenti del Vescovo», che è il primo tra i pastori di una Chiesa locale. Se, in un primo momento, questa pare essere un’ora difficile, non si può tralasciare di pensare che è un tempo di grazia: la comunità contempla il disegno di Dio e fedeli laici e pastori, insieme, cercano di comprendere «la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie» (1) e come «la gioia matrimoniale si può vivere anche in mezzo al dolore» (126).

C’è una indicazione nel testo post-sinodale che non va trascurata. Il discernimento non è solo compito dei pastori, ma deve essere compiuto nella comunità cristiana, insieme ai fedeli interessati: «Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio» (300). In ultima istanza, lo sappiamo, si deve esprimere la coscienza rettamente formata (303). Non è inutile sottolineare che «questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettono di realizzare l’ideale in modo più pieno» (303).

Dall’esperienza limitata di questi giorni si ha la percezione che la proposta di un itinerario non ha deluso chi “pretendeva” l’assoluzione. Il fedele ha visto nella disponibilità di un cammino insieme non la burocrazia che complica la vita, ma la maternità della Chiesa che aiuta a capire, che si preoccupa di medicare le ferite e di aprire a una consapevolezza nuova. Questa consapevolezza ha sperimentato la premura dei pastori chiamati non a imporre una norma, ma a indicare il valore mediato dalla norma assumendo davvero «l’odore delle pecore».