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Lecco

«I ragazzi vogliono dirci qualcosa,
ma noi non capiamo»

Padre Angelo Cupini, responsabile della Comunità di via Gaggio: «Il poliabuso è un problema essenzialmente culturale, che la società non coglie perché preoccupata da altro»

di Marcello VILLANI

25 Maggio 2014

Giovani e dipendenze. Alcol, droga, tabacco e in certi casi anche gioco. I ragazzi sono sempre più stimolati a «trasgredire» e a vivere a «cento all’ora». Così da non riuscire più a distinguere un momento di esaltazione passeggero, giovanile appunto, da un vizio che potrebbe rovinare loro la vita.

Padre Angelo Cupini, responsabile della Comunità di via Gaggio a Lecco, non ha dubbi: «Non abbiamo numeri a disposizione che possano certificare con precisione la situazione nel nostro territorio. Ma anche da noi ci sono tutti gli elementi riscontrati nelle analisi milanesi: per esempio c’è un numero sempre maggiore di ricoveri per le “sbronze”. Anche i mix alcol-droga sono ormai conclamati, così come la diminuzione dell’età dei consumatori. Alla nostra Comunità, però, arrivano per la maggior parte casi di chi ha problemi di anoressia e bulimia. Per droghe e alcol ci occupiamo perlopiù di adulti».

Oltre i servizi dell’Asl di Lecco non esistono molti punti di osservazione e accompagnamento del fenomeno. Ma un fatto è certo: «Il problema dei giovani è l’abuso di sostanze di diverso tipo, ed è un problema soprattutto culturale. Non è possibile che l’orario delle 18 (quello dell’happy hour, ndr) diventi mitico. Sono cambiati i modelli di riferimento e questo ci deve far riflettere. La soluzione non può essere solo medica o psicologica». Il grido di dolore dei giovani vittime del poliabuso va ascoltato: «Quando un problema viene fuori così prepotentemente vuol dire che da parte dei ragazzi c’è la necessità di dire qualcosa. Un qualcosa che la società non riesce a capire. E questo succede perché è preoccupata da altre cose, ha l’attenzione dirottata su altro…».

Per padre Angelo gli esempi non mancano: «Fatichiamo tremendamente a far capire che a Lecco ci sono 7 mila giovani che non vanno più a scuola e non lavorano. Per quanto tempo le loro famiglie saranno in grado di reggere questa situazione? È un territorio che si svuota della sua linfa vitale. Cosa succederà in futuro?». Quali contromisure, allora? «Dobbiamo ritrovare un equilibrio, cercare la sobrietà. Cambiare prospettiva e vedere le cose in maniera diversa, pur sapendo che i giovani sono immersi in una cultura che vede l’eccesso come elemento vincente».