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Milano

«In questo libro l’immagine
di una Chiesa a colori»

All’Università Cattolica la tavola rotonda di presentazione del libro di Marco Vergottini “Le perle del Concilio”

di Martino INCARBONE

12 Ottobre 2012

«Che cosa non avremmo avuto se non ci fosse stato il Concilio? Come sarebbe stata la società oggi senza questo prezioso contributo?». Questa la domanda che si è fatto Ferruccio de Bortoli ieri sera, nell’aula magna dell’Università Cattolica, nel presentare il libro Le perle del Concilio, curato dal professor Marco Vergottini. Col direttore del Corriere della sera e l’autore erano presenti monsignor Renato Corti, il teologo don Alberto Cozzi e la professoressa Milena Santerini.

«Non sarebbe stato possibile un dialogo tra le fedi – si è risposto de Bortoli – e il loro rapporto sarebbe stato più conflittuale. Non sarebbero accaduti i Raduni di Assisi, la visita dei Papi alle sinagoghe, la Cattedra dei non credenti. Come sarebbe stata vuota la società e forse vuote le nostre chiese! Da laico mi chiedo anche se non sia necessario ancora oggi per la Chiesa un grande balzo nel presente, così come Ratzinger descrisse una volta il Vaticano II…».

L’anima ispiratrice del volume è stata proprio la necessità di tenere vivo lo spirito conciliare. Un lavoro reso possibile dal lavoro di una associazione che anima il sito internet www.vivailconcilio.it, come ha spiegato l’assistente generale dell’Azione Cattolica monsignor Gianni Zappa, che ha moderato la tavola rotonda. «Le perle sono un vero e proprio genere letterario, che secondo l’arcivescovo O’Malley si addice in particolare al Concilio Vaticano II – ha raccontato Vergottini, che tra l’altro ieri sera è stato anche “voce narrante” dello speciale sul Concilio su Rai Uno -. Accostare il corpus conciliare è opera non semplice anche per uno studioso, per la ricchezza e la complessità dei suoi messaggi e della sua struttura. Con questo volume abbiamo voluto dare una immagine di una Chiesa a colori, esattamente come quella rappresentata sulla copertina dall’acquerello di Scorzelli».

Il volume ha radunato più di 200 autori che hanno commentato frasi estratte da tutti i 16 documenti del Vaticano II. «Non bastavano i testi? Perché aggiungere un commento a un corpus già così strutturato? – si domanda il teologo don Alberto Cozzi, che ha ricordato di essere nato il giorno dopo l’incoronazione di Paolo VI -. Il Concilio è stato una ricerca, non per dire che cos’è la Chiesa dal punto di vista dottrinale, ma piuttosto per continuare la ricerca della fede autentica e per dire il senso e il valore di essere credenti oggi. Allora forse richiedere un commento ad alcune frasi dei documenti conciliari significa voler continuare a verificare, nel dialogo con Dio, che cosa vuol dire essere Chiesa oggi. La sfida è interessante. Vuole riproporre oggi quella sfida del Vaticano II che era un dialogo, che significa condividere con altri l’esigenza di verità”.

Milena Santerini è invece partita dalla parabola biblica utilizzata da Paolo VI: «L’antica storia del Samaritano è stata l’icona del Concilio, la simpatia per l’uomo lo ha tutto pervaso. Questo spirito ci appare lontano, ma non irrealizzabile. Con il Concilio la Chiesa ritrova la sua vitalità perché c’era il rischio che diventasse un museo invece che un giardino in fiore: queste immagini di Giovanni XXIII erano dettate da un ottimismo superficiale? – si chiede la professoressa -. Sicuramente no, è una sofferta presa di posizione nei confronti di una Chiesa che si ripiega su se stessa che sente il bisogno di una nuova pentecoste. In quest’ottica è significativo che oggi, in occasione di questo anniversario, si stia svolgendo a Roma un sinodo dei vescovi».

Monsignor Corti, il primo a parlare nella tavola rotonda, ricorda invece che nel 1959, quando diventava sacerdote, il Concilio veniva annunciato. «È stato un tempo di primavera, un tempo in cui la Chiesa ha avvertito il bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra e di profezia nello sguardo, come diceva Paolo VI nel 1972. Soffermarsi su semplici frasi dei documenti conciliari è importante: le parole sono come le campane, quando ne pronunciamo una dovremmo raccoglierci e farla risuonare. Viene chiesto di procedere lentamente, non di dare una scossa veloce. E non dobbiamo limitarci a fare memoria del concilio. Dobbiamo continuare a vivere e incarnare il suo spirito».