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Intervista a Jaquline Lazarescu

9 Novembre 2004

Jaquline Lazarescu è medico responsabile del Centro statale “Lizoga / Luminitta” dove sono assistiti bambini e ragazzi con handicap mentale. Jaqline è sposata, ha una figlia portatrice di handicap che le dona la forza, l’amore per queste creature che, in Romania, sono considerate una vergogna da nascondere.
Una donna coraggiosa che affronta la sfida di nuotare controcorrente con determinazione e con un immancabile sorriso sul volto.

Chi ospitate nel vostro Centro?
“Nel Centro ospitiamo 45 bambini con età che varia da un anno a diciotto, quaranta di loro hanno una grave disabilità: sindrome Dawn, encefalopatie croniche, ritardi mentali medi e gravi, malattia di Wilson. La maggioranza di loro sono stati abbandonati dalla famiglia o provengono da situazioni familiari con gravi problemi economici. Di questi quaranta bambini solo dieci ricevono le visite di genitori o parenti”.

Conosce la situazione in città e in Romania?
“Non conosco altri centri in città con le stesse caratteristiche del nostro. Lo dico con riserva, ma credo che in Bucaresti sia proprio l’unico, la situazione negli altri settori ( quartieri ) non la conosco. In Romania ci sono centri come il nostro, ma non saprei quantificarli e qualificarli con esattezza”.

Quali sono i maggiori problemi aperti nel Centro?
“Attualmente viviamo un momento di incertezza perché ci stiamo ristrutturando e riorganizzando. Insieme a tutto il personale, gli educatori, i bambini; ci auguriamo di spostarci in un nuovo centro. Quello attuale in realtà è condiviso con quello di “Luminitta” che si occupa di bambini normali, ma abbandonati. I problemi più urgenti sono il cibo, soprattutto il latte, e i vestiti. I bambini hanno in dotazione solo due vestiti e lo Stato versa, per ciascun bambino, una quota mensile pari a circa 25 euro. Somma irrisoria, insufficiente per le effettive necessità. C’è anche il problema non meno urgente di riqualificare professionalmente il personale ancora legato ad una mentalità di rassegnazione e, quindi, insufficiente all’altezza della sfida”.

Questi ragazzi hanno una speranza, un futuro?
“Senza speranza non c’è futuro. Anche se i bambini, i ragazzi, hanno disabilità gravi, esiste sempre una possibilità di progresso. Con la speranza credo che si possa, si debba, andare avanti altrimenti si rimane prigionieri, bloccati, dalla disperazione. La vostra preziosa presenza di volontariato è un segno di questa speranza, non saprò mai come ringraziarvi. Poiché sono credente, non può esserci spazio per la disperazione. Dio ci aiuta sempre, soprattutto quando gli obiettivi, la meta, sono così ben individuati tra gli ultimi degli ultimi. Questo ci permette di sapere dove camminare, che passi fare. Amo molto questi bambini, il mio atteggiamento verso di loro è il medesimo che ho verso mia figlia. Credo che anche per loro ci sarà futuro, occorre costruirlo con loro”.