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Una presenza pastorale da 45 anni

La “danza” in terra africana dei cardinali di Milano

«Per parlare di storia in terra d’Africa è meglio lasciare da parte le date con i loro numeri precisi, direbbero poco. Meglio usare le grandi figure degli antenati e il ritmo dei tamburi con i suoi danzatori ». Così don Antonio Colombo (fidei donum in Zambia per molti anni e oggi parroco a Seveso - San Carlo) inizia a descrivere la storia della Chiesa ambrosiana in quella missione conosciuta per decenni con il nome di Kariba, una gola che strozza il maestoso fiume Zambesi e permette a una diga “italiana” di diventare fonte di energia elettrica e di vita per Zambia, Zimbabwe e Sud Africa.

di Antonio Colombo

15 Luglio 2011

A KARIBA CON IL CARDINAL MONTINI

Tocca a lui aprire la danza nel 1960. Come Arcivescovo di Milano è coinvolto nel grande progetto delle ditte Torno e Impregilo per la diga che dà origine a un lago artificiale lungo 320 chilometri. Con genialità e coraggio il Cardinale Montini lancia il primo “danzatore”, don Ernesto Parenti, lontano dalla Madonnina del Duomo, per dare ritmi e energie spirituali agli operai bianchi e neri ed aprirsi alla popolazione che vive lungo il fiume Zambesi.

La danza ha bisogno di tamburi, i primi strumenti concreti: case per la missione, ospedali, scuole, Land Rover… La danza ha bisogno di uomini e donne: sacerdoti da Lodi, Suore di Maria Bambina, medici e tecnici dall’Italia. Ci vuole tempo per scaldare i tamburi e i primi passi di danza sono impacciati per difficoltà economiche, ambientali e politiche: tira aria di indipendenza per la Rhodesia con i primi spari della guerriglia. Ma l’avventura è cominciata con un entusiasmo che ha coinvolto tutta la diocesi di Milano, compresi i fanciulli dell’azione Cattolica che riempiono i loro salvadanai per “Kariba”.

La danza ha un improvviso stupendo acuto: il 24 giugno 1963 il Cardinale Montini diventa Paolo VI. L’Africa non perde un amico, anzi sa di essere entrata nel suo cuore, soprattutto grazie al viaggio da lui fatto nel 1962, come primo Cardinale a toccare il suolo africano.

L’EREDITÀ PASSA AL CARDINAL COLOMBO

Il tamburo ricomincia presto a battere sotto le dita del nuovo Cardinale di Milano che eredita anche la parrocchia “oltremare” . Il Papa Paolo VI gli scrive: «Seguo sempre con interesse il solco del lavoro, a cui ebbi la ventura di dedicare le mie modestissime fatiche; e vedo con commozione come Ella valorosamente lo faccia procedere».

Valorosamente! La guerriglia e la foresta avevano inghiottito il primo Ospedale di Chirundu, la diga funziona ma il confine è chiuso: il fiume divide in modo netto i due nuovi stati indipendenti dello Zimbabwe e dello Zambia. Così il Cardinale Colombo – a malincuore – decide di passare dall’altra parte del fiume, con un nuovo ospedale a Chirundu, una scuola di agraria e nuove parrocchie a Lusitu, Siavonga e Chirundu. Cerca personalmente nuovi danzatori in conformità a un semplice criterio: «Per andare in Africa ci vuole un po’ di salute e un po’ di buon senso». Passa di parrocchia in parrocchia per la consegna del Crocefisso, formando così la prima squadra di missionari: don Paolo Banfi, don Emilio Sarri, don Emilio Patriarca, fratel Carlo Comotti, don Alessandro Tanzi, don Giuseppe Poratelli, don Giuseppe Parolo, fratel Oreste Scaccabarozzi e don Antonio Colombo.

Tutti hanno uno strano nome: sono preti “Fidei donum”, che significa portatori del “dono della fede”, pronti a ricevere in cambio un arricchimento in umanità, fede e cultura.

Per tre volte visita lo Zambia (1965, 1970, 1974), con un incontro che segna una svolta: quello del 1970 con Monsignor Emmanuel Milingo, Arcivescovo di Lusaka, un “africano intelligente e intraprendente” che chiede a Milano un aiuto per la cittadina di Kafue, per affrontare i nuovi problemi dell’Africa che velocemente passa dalle capanne ai ritmi del mondo industriale.

La danza è ancora lenta e i suoni acuti sono dati dal dolore per il nuovo ospedale colpito dai mortai e dai bazooka, per una chiesa bombardata, per un missionario picchiato, un altro in prigione e zone di fiorenti comunità abbandonate. Tutti però restano fedeli sul posto di combattimento, in attesa che l’arcobaleno di pace torni a brillare sul fiume Zambesi. I sette colori dell’iride spuntano il 18 aprile 1980, un po’ tardi per il Cardinale Colombo che da pochi mesi ha lasciato la guida della Diocesi. La sua casa è però rimasta sempre aperta per chi veniva dallo Zambia, i suoi occhi si illuminavano, la sua memoria era sempre lucidissima, proprio come aveva scritto: «Vi ricorderò con il pensiero, con la preghiera, con il cuore che vi stima e vi ama».

LA PASSIONE MISSIONARIA DEL CARDINAL MARTINI

E’ stato velocissimo nell’entrare nel cerchio della danza africana, a pochi mesi dal suo arrivo a Milano. Nel luglio 1980 è già in Zambia e inizia la Messa parlando in lingua africana: "Mu dzina la Atate…", sorprendendo tutti tranne un serpentello che l’aspettava a pochi metri di distanza! Nei suoi 22 anni milanesi ha avuto tante occasioni per visitare lo Zambia (Kariba è scomparsa anche come nome), particolarmente nel 1992 come Delegato di Giovanni Paolo II per il centenario del cristianesimo in quella nazione e nel 1999 come Vescovo consacrante per Monsignor Emilio Patriarca, “uno di noi” diventato Vescovo tra i Tonga.

La danza si fa’ libera e vivace, si allarga il cerchio, sorgono chiese, scuole professionali, centri pastorali, con ballerini nuovi: suore, laici e sacerdoti della seconda ondata nel turn-over dei 12 anni. Nel 1986 anche per me arriva il tempo della “pensione africana” e torno all’ombra dei grattacieli di Milano , ma so che la danza si sta facendo zambiana con i nostri chierichetti neri che diventano preti, le ragazze che si fanno suore: il deserto è fiorito. Il telefono non è più un soprammobile muto, ma strumento di collegamento sempre più veloce, con tanto di e-mail e di internet quasi anche nelle capanne!

Nomi nuovi coprono gli anni che portano al 2000: don Claudio Bernasconi, don Mario Papa, don Enrico Lazzaroni, don Giancarlo Quadri, don Edy Cremonesi, fratel Gino Zanchin, don Franco Maggioni, don Angelo Viganò, don Benvenuto Riva, don Claudio Scaltritti, don Olinto Ballerini. Il Cardinale Martini li ha sempre seguiti, mentre apriva danze “missionarie-milanesi” in altri punti dell’Africa e del mondo.

AL CARDINALE TETTAMANZI LA DANZA
DEL TERZO MILLENNIO

Gli anni passano e la danza continua con il terzo gruppo con il decano don Antonio Novazzi: don Francesco Airoldi, don Olinto Ballarini, il diacono Emiliano Drago, don Maurizio Canclini, don Maurizio Zago, don Michele Crugnola, don Giuseppe Grassini, don Camillo Galafassi. Qualcuno sta già danzando in Paradiso – don Davide Colombo – mentre fratel Oreste è diventato diacono e all’alba dei suoi 85 anni è la memoria storica: ne ha vista passare di acqua sotto il ponte di Chirundu, ora che non si sentono più gli spari ma solo il ruggito del leone o il borbottio degli ippopotami.

Al campo base di Milano tocca al Cardinale Tettamanzi guidare la danza nel terzo millennio. Il primo passo lo ha già fatto nell’accogliere con il suo sorriso chi ha bussato alla sua porta venendo dal lontano – e vicino – Zambia. Nel 2003 con piacere ho accompagnato in Curia l’attuale Arcivescovo di Lusaka, Monsignor Mazombwe, e ho visto la cortesia del Cardinale nel riceverlo, coinvolgendolo subito in un giro tra le Zone pastorali della Diocesi nell’Ottobre missionario.

Ora l’aspettano le strette di mani africane, più lunghe e calorose di quelle di casa nostra, con un triplice intrecciarsi delle dita, con un leggero movimento delle ginocchia e uno stupendo sorriso di benvenuto.