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Lettera di Natale (2003)

4 Ottobre 2004

Il Signore annunzia la pace per chi ritorna a lui con tutto il cuore. La sua salvezza è vicina a chi lo teme e la sua gloria abiterà la nostra terra. Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. (dal Salmo 85)

Carissimi amici,
ho iniziato questa giornata con le parole di questo salmo, l’ho conclusa con quelle di un canto di Natale che quando ero bambino il nostro parroco ci faceva cantare in chiesa nel pomeriggio del 25 dicembre: “Tu scendi dalle stelle…”.
Oggi sono stato a Huacho. Mi sono incontrato con i miei amici preti, con Luciano, Ambrogio, Alberto e Giuliano, sacerdoti fidei donum di Milano che con me sono al servizio di questa chiesa di Huacho.
Ci siamo trovati come lo facciamo sempre una volta al mese.
Sono contento quando ci ritroviamo.
Gli anni vissuti in sierra mi hanno fatto soffrire da questo punto di vista. Ora che mi è più facile questo incontro, sento che mi fa molto bene, mi dà serenità, ne esco arricchito e confortato.
Devo ringraziare il Signore per i preti che ho incontrato nei miei anni di servizio ad altre chiese, prima in Africa ed ora qui in Perù.
Anche per questi preti che il Signore mi ha messo accanto posso riconoscere che sono stati anni di grazia, un dono grande per il mio cammino di fede.
Il particolare dell’incontro di oggi è che volevamo aiutarci vicendevolmente, nella prossimità del Natale, ad aprire un po’ di più gli occhi del cuore e della mente sul mistero di Gesù, Dio fatto uomo. Come i pastori, che si dicevano l’un l’altro: ”Andiamo fino a Betlemme, andiamo a vedere…”.

Così è stato per noi, ci siamo aiutati ad “avvicinarci”: chi non gli è vicino non può vederlo. Ed abbiamo iniziato il nostro incontro con questo salmo.
Alla sera, rientrando a Sayàn, passavo tra le coltivazioni di canna da zucchero. Dopo una curva ho visto il fuoco.
Uno spettacolo affascinante nell’ora del tramonto.

Quando la canna è pronta per il raccolto, si mette fuoco alla piantagione per lasciare le canne senza le lunghe lingue del fogliame.
Entrano poi in azione i tagliatori con il loro machete.
Tagliare la canna è un lavoro difficile, non tutti lo sanno fare e non tutti ne hanno la forza.

E’ un lavoro da “specialisti”, e cioè un lavoro duro e mal pagato.
I tagliatori di canna sono uomini che vengono dalla sierra del nord, da Chota, dalla zona di Cajamarca.
Lasciano per mesi o anche per tutto l’anno le loro famiglie per guadagnare quei soldi necessari che nella loro sierra povera e dimenticata solo possono desiderare. Li vedo infaticabili, anneriti come spazzacamini nella cenere lasciata dal fuoco, che raccolgono con ordine la canna tagliata in lunghe file che poi le macchine caricheranno sui camion.

L’incendio della piantagione di canna produce una nuvola di cenere che precipita in una nevicata nera.
A Sayàn non piove mai, solo qualche spruzzatina quando nei mesi di gennaio-febbraio la sierra finora arida si sazia in un banchetto di pioggia che lascia cadere qualche briciola per noi a valle.

Ma spesso a Sayàn piove cenere, ed il più delle volte non ci faccio più caso, mi sono abituato. Alcune volte però questo spettacolo mi lascia un senso di sporco e di tristezza.

Mi fa pensare a quelli che sono come Maria e Giuseppe: “non c’era posto per loro nell’albergo ”.
Mi spaventa il rischio di vivere in mezzo alla povertà ed alla miseria e di non farci più caso, perché è la situazione di tanti, è la normalità.
Così come mi mette in crisi ricordare che i primi pastori, quelli di Betlemme, erano di una categoria sociale “zero”, ed io come “pastore” di questo gregge dovrei scendere più in basso e cercare Gesù lì dove sta, tra coloro sui quali piove cenere, per i quali non c’è posto. Così mentre guidavo nell’ultimo tratto per arrivare a Sayàn, con i tergicristalli che a intervalli spazzavano la cenere per farmi vedere più chiaro, mi sono affidato a Colui che è sceso in basso, tra chi aspetta e veglia in quella notte oscura che è la sua vita di sofferenza e miseria perché crede che “la giustizia si affaccerà dal cielo”.

E mi sono messo a cantare: “Tu scendi dalle stelle…”.
Spero che il Natale quest’anno mi regali una fede più chiara, che mi aiuti a vederlo e riconoscerlo lì dove sta. Un amore sempre appassionato e attento, ma soprattutto che mi faccia camminare verso “il basso”.
E la speranza, per sentire già in questo presente di cenere che “la sua gloria abiterà la nostra terra”. Anche a voi il mio augurio di un Natale che vi regali più fede, amore, speranza.
Grazie di tutto e un forte abbraccio.
Ciao.
Don Ezio