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L’intervista a don Antonio Giovannini

1 Marzo 2005

Per quale motivo ha scelto di andare in Albania?
E’ una scelta maturata negli anni in cui ero impegnato nella comunità di Monlué e avevo quotidianamente a che fare con gli immigrati, molti dei quali provenivano proprio dall’Albania. Ad un certo punto mi sono chiesto se non potevo fare qualcosa per queste persone, ma non nella diocesi di Milano, bensì nel paese dal quale provenivano. Così ho scelto l’Albania, anche perché era ed è un paese con pochissimi preti, visto che sono stati quasi tutti uccisi durante gli anni delle dittatura comunista di Enver Hoxha. Sono andato in Albania anche per permettere che fra la chiesa di Milano e quella di Scutari potesse iniziare uno scambio, che richiederà anni ma che è fondamentale visto il numero elevato di albanesi nel territorio della diocesi di Milano.

Lei è parroco sulle montagne albanesi. Ci racconti come si vive in quelle zone remote dell’Albania…
Sono parroco a Koman, un paesino nella diocesi di Scutari, al confine con il Kossovo. Vi abitano circa 500 persone, e poi vi sono tanti piccoli villaggi sulle montagne che cerco di visitare periodicamente. Uno dei grossi problemi della zona di Koman è la difficoltà nelle comunicazioni. Per andare in alcuni villaggi dopo alcune ore in auto, devo prendere una barca per attraversare un lago e quindi camminare su sentieri: in questi piccoli villaggi celebro la Messa, amministro i sacramenti e sto con le persone per parlare con loro, per ascoltare i loro problemi. Diciamo che passo buona parte del mio tempo in ascolto delle persone. La difficoltà di comunicazione a Koman incide profondamente sulla qualità della vita delle persone. Per esempio, a Koman gli insegnanti e i dottori non ci vogliono andare perché è molto scomodo. Nessuno da Scutari vuole ovviamente trasferirsi. Così gli insegnanti delle piccola scuola ogni giorno vengono da Scutari, sono circa due ora e mezza di pullman, fanno tre ore di lezione e poi tornano in città. A farne le spese sono gli alunni che imparono ben poco, visto che gli insegnanti, quando ci sono, fanno lezione sì e no per tre ore.

Qual è la situazione oggi in Albania?
La situazione economica e quella legata alla sicurezza vanno lentamente migliorando. Questo grazie soprattutto alle rimesse di coloro che sono emigrati. Il problema è che queste rimesse vengono usate solo per acquistare la casa e per beni di consumo. Poco invece finisce in investimenti per nuove attività produttive che creino ricchezza e lavoro. Fra l’altro, l’Albania ha ricevuto negli anni una marea di aiuti, che hanno però bloccato l’economia. Erano forse aiuti dettati dall’emergenza che si era venuta a creare, però ha impedito che si sviluppasse un sistema economico e imprenditoriale capace di produrre autonomamente. Oggi le industrie presenti in Albania svolgono soprattutto lavori conto terzi di imprese italiane di altri paesi.

Ed è per questo che gli albanesi continuano a migrare dal loro paese?
Certo. Direi anzi che il problema di fondo è proprio che i migliori tendono a migrare, perché l’Albania offre poche possibilità. L’unica via per migliorare le proprie condizioni di vita e della propria famiglia è ancora quella di migrare

Qual è la situazione della chiesa in Albania?
La Chiesa albanese in questi anni è stata aiutata molto dall’esterno, in particolare dalla Chiesa italiana. Sono numerosi oggi i sacerdoti italiani presenti in Albania. E questo è sicuramente un bene, ma è ovvio che l’importante è che la Chiesa albanese diventi autonoma. Per fortuna adesso ci sono giovani preti albanesi che hanno voglia di fare e di servire la chiesa e la gente. Ho notato che c’è nella gente sete di conoscenza. Dopo decenni di dittatura, la gente vuole approfondire la fede che, magari di nascosto dalla polizia segreta, i genitori hanno trasmesso. Direi anzi che la tradizione è stata la salvezza della fede in Albania durante gli anni del comunismo. Di nascosto la gente nelle proprie case diceva il rosario, inoltre alcune usanze legate alla religiosità popolare hanno permesso di trasmettere ai figli comunque il senso della fede. E’ chiaro però che adesso deve essere rinnovata, approfondita, altrimenti si scade nel devozionismo.