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Testimonianza

«Mi hanno aiutato
la famiglia e la comunità»

Licenziato improvvisamente nel 2003, Sergio Grazioli racconta del suo difficile reinserimento e del conforto avuto dai familiari e dalla fede

di Silvio MENGOTTO

28 Aprile 2013

Nel 2003 il quarantenne Sergio Grazioli era a capo di una filiale italiana di circuiti stampati per Israele, ma per la forte crisi dell’elettronica viene licenziato. «Dovevo incontrarmi con i responsabili aziendali per una riunione sulle vendite internazionali e a ciel sereno mi comunicano che a breve sarei rimasto a casa». Da pochi giorni con la moglie aveva deciso per l’affido di un bambino e la notizia del licenziamento rendeva il futuro molto problematico. «Mi è crollato il mondo addosso», racconta oggi.

Era uno dei primi casi di difficile reinserimento nel mondo del lavoro: troppo giovane per la pensione e troppo vecchio per il lavoro. «Ho passato tre anni alla ricerca di un’occupazione con l’idea di mettermi in proprio – continua Grazioli -. Ma ho sperimentato che tutto il sistema era un grosso ostacolo verso chi, come il sottoscritto, voleva autonomamente fare impresa». In questo cammino Grazioli si convince che «in generale gli imprenditori italiani non hanno una cultura della flessibilità. Se vieni licenziato in Italia ti rimane il bollo, negli Usa non è così».

Dal mondo dell’elettronica Grazioli con fatica è passato agli accessori per bagni. «Oggi il lavoro è totalizzante, si fatica a trovare il tempo per la famiglia e questo mi dà fastidio», ammette. «Nella mia professione vedo sempre forme di ricatto. Ancora di più ora che il lavoro scarseggia». Eppure «il lavoro è per l’uomo, non viceversa! È creazione, partecipazione, realizzazione della persona».

Un segno della disperazione diffusa nel Paese è il numero enorme di suicidi per motivi di lavoro di imprenditori o lavoratori, ma ci sono anche segni di speranza. «Di sicuro – conclude Grazioli – la famiglia è stata un conforto indispensabile: non sei solo e non perdi la tua dignità, perché non avere il lavoro oggi significa non sentirsi più persona. Mi ha aiutato molto anche la fede perché si capisce, si intuisce che c’è un oltre. La fede mi aiuta ad affrontare con un altro spirito le difficoltà. Vitale è stato il sostegno della famiglia e della comunità».