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Incontro

Scola: «Gemellaggi con queste parrocchie
per costruire la pace»

Dopo la celebrazione al Getsemani, luogo della sofferenza di Gesù prima della sua crocifissione, l'arcivescovo di Milano e un gruppo ristretto di pellegrini hanno visitato un posto dove oggi questa sofferenza è ancora drammatica. La testimonianza di padre Faysal a Beit Jala, città palestinese della Cisgiordania

di Davide MILANI

28 Dicembre 2014

Padre Faysal ha un incubo che lo tormenta. Un muro che gli potrebbe spaccare in due la parrocchia e far fuggire altri parrocchiani. Il cardinale Scola ha voluto incontrarlo a casa sua, aldilá del muro che separa Israele dai territori palestinesi. E questo incontro è stata una tappa inconsueta rispetto agli itinerari soliti dei pellegrinaggi in Terra Santa.
Dopo la celebrazione al Getsemani, luogo della grande prova e sofferenza di Gesù Cristo prima della sua crocifissione, l’Arcivescovo di Milano e un gruppo ristretto di pellegrini hanno visitato un posto dove oggi questa sofferenza è ancora drammatica.
Beit Jala, Palestina, città della Cisgiordania, a circa 10 km a sud di Gerusalemme, sul lato occidentale della strada per Hebron, di fronte a Betlemme. 15 mila abitanti, prevalentemente cristiani con una minoranza musulmana, anche se molti sono già emigrati all’estero, specialmente in Sud America e America Centrale. E altri sono prossimi a farlo. Il parroco qui è padre Faysal Hijazen, prete di origine giordane (come la maggioranza del clero palestinese) incaricato anche della direzione generale delle scuole del Patriarcato Latino di Gerusalemme.
Parla davanti alle colline e alla valle di Cremisan, dove le suore tengono un scuola frequentata anche da musulmani, e i salesiani hanno una azienda agricola nella quale producono olio ed un ottimo vino, azioni parte di un progetto sociale che permette di dare lavoro a molti palestinesi.
Padre Faysal mostra due consistenti insediamenti israeliani sui due lati della vallata. E spiega: «Vogliono unirli occupando anche la valle e prolungando fino a qui il muro. Ufficialmente per ragioni di sicurezza. Ma questa è una zona tranquilla, da qui nessuno ha tentato atti di violenza. Se occuperanno anche questo territorio, se faranno il muro sarà la fine per la scuola della suore e le attività dei salesiani. E altre 49 famiglie di cristiani palestinesi, senza più terra da lavorare se ne dovranno andare all’estero per sopravvivere. Questo per noi sarebbe la catastrofe».
Il cardinale Scola ascolta, domanda per conoscere di più. Padre Faysal mostra le cartine, i diversi progetti del muro, i tentativi di mediazione falliti. Ma senza rassegnazione. Non può permetterselo: per il suo temperamento forte, coraggioso ma gentile, per fede, per la missione cui deve attendere, per gli incarichi ecclesiali che ha.
Come parroco ha il suo bel da fare. Parla dei 45 ragazzini che aveva alla Messa in mattinata, dei gruppi scout, dei movimenti attivi in parrocchia, dei giovani collaboratori. Dopo la visita a Cremisan deve correre nella sua bella chiesa ottocentesca attigua al Seminario. In programma c’è il matrimonio di due "suoi" giovani che nonostante tutto vogliono fare famiglia e crescere figli qui. «Segni come questi ci danno forza e speranza», confida, «così come i 50 alunni del nostro Seminario minore e i 25 del Seminario teologico che qui hanno sede».
Una dose forte gli speranza gli deriva anche dal suo incarico di direttore delle scuole del Patriarcato di Gerusalemme. 45 istituti con 25 mila studenti sotto la sua guida diretta e sparsi tra Palestina, Israele e Giordania. Complessivamente le scuole cristiane in queste terre sono 200 (con 75 mila alunni), tra le quali due Università.
«Per noi qui il ruolo dell’educazione è fondamentale. Circa la metà dei nostri alunni sono musulmani. Non li abbiamo nei nostri istituti perché volgiamo che diventino cristiani. Sarebbero poi messi al bando dalla società qualora si convertissero. Ne siamo convinti e ne vediamo già i risultati: studiando da noi questi islamici saranno da grandi buoni cittadini, moderati, mai fondamentalisti. Insegniamo loro i valori umani di base, che sono poi quelli del cristianesimo».
Un investimento che ripagherá su tempi lunghi ma che darà sicuramente frutto: secondo padre Faysal è l’unica via per realizzare quella pace che appare ora un traguardo lontanissimo. «I musulmani qui sono generalmente buone persone, ma si sentono vittime di una ingiustizia. Troppe case di palestinesi non hanno intorno altro che il muro». Il muro che blocca gli spostamenti, indica i territori palestinesi occupati dagli israeliani, chiude l’orizzonte e sequestra la gente a casa propria. «Questa sensazione di ingiustizia, il non vedere alcuna speranza, li spinge ad ingrossare le file dell’estremismo, ad avvicinarsi ad Hamas. Se non finirà presto l’occupazione aumenterà ancora il fondamentalismo. Noi sentiamo forte anche un’altra grave minaccia, quella di lsis, il cui obiettivo è portare violenza anche qui, contro lo Stato di Israele. E sarebbe la fine. Per questo risolvere il problema dei palestinesi è la chiave per risolvere i problemi di tutto del Medio Oriente».
La strada per arrivare alla pace per il parroco di Beit Jala è fatta di passi elementari. «In queste terre sono negati i più fondamentali diritti dell’uomo. Qui abbiamo bisogno di una sola cosa, della pace. Promuovere la pace significa parlare e far conoscere i diritti dei palestinesi, dei poveri, di tutti i poveri: israeliani e palestinesi soffrono allo stesso modo. Occorre sostenere le scuole, gli ospedali che sono opere e strumenti per educare alla pace". E padre Fayal lancia un appello accorato e straziante alle parrocchie di Milano e a tutti i cristiani ambrosiani: "Venite qui per conoscere, per sostenerci, per aiutarci. Siamo la Chiesa del Golgota: non lasciateci soli nella nostra sofferenza. È possibile fare esperienza e dare una mano in parrocchia e nelle nostre attività. Vi aspettiamo. E ringrazio il cardinale Scola per questa visita importante».
E la risposta dell’Arcivescovo di Milano è pronta: «Vogliamo promuovere, instaurare e sviluppare scambi e gemellaggi con queste parrocchie, per realizzare legami stabili. L’obiettivo da perseguire è quello della pace, desiderio serio e oggettivo che può essere realizzato con l’aiuto di tutti, anche il nostro».
Per il cardinale Scola questo incontro non è stata una parentesi del pellegrinaggio, ma parte integrante, essenziale: «Così superiamo quella concezione astratta del pellegrinaggio che si limita alla visita di taluni luoghi che certamente sono decisivi per la nostra fede, ma che non vanno trattati come elementi isolati dal contesto in cui sono inseriti, da quello che intorno oggi accade, della realtà della Chiesa e delle religioni, dalla vita quotidiana di chi qui abita. Questo modo di essere pellegrini ci fa capire il mistero dell’Incarnazione celebrato a Natale: Gesù è vivo, contemporaneo, presente. E a questi fratelli incontrati oggi non faremo mancare il nostro aiuto».