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31 dicembre

Scola: «Nel 2015, promuovere
la precedenza del bene comune»

Il cardinale Scola ha presieduto la Celebrazione eucaristica con il Canto del Te Deum nella chiesa di Santa Maria della Scala in San Fedele. Occorre uno «scatto di responsabilità», ha detto, «davanti all’anno che ci attende»

di Annamaria BRACCINI

31 Dicembre 2014

La fine e l’inizio come dimensioni che accompagnano tutta la nostra vita e che, forse, mai come nell’ultimo giorno dell’anno, a poche ore dall’aprirsi del nuovo, chiedono uno “scatto di responsabilità” per rendere migliore il domani secondo la «rinnovata coscienza di un principio classico, oggi troppo sottovalutato: il bene comune è sempre, simultaneamente e inseparabilmente, bene della persona e bene della società».

Il cardinale Scola, nella bella e storica chiesa di Santa Maria della Scala in San Fedele presiede la Celebrazione eucaristica con il Canto del Te Deum di ringraziamento per la Città, seguendo una tradizione forse risalente ai tempi di San Carlo. Accanto a lui molti concelebranti, soprattutto Gesuiti (per la presenza qui della loro Comunità) tra cui padre Lino Dan parroco e superiore della Comunità stessa, che dà il benvenuto, e padre Giacomo Costa, direttore delle attività. Presenti i rappresentanti delle Istituzioni, tra cui la vicesindaco di Milano, De Cesaris e molte centinaia di fedeli, l’Arcivescovo richiama, così, il senso del Te Deum – nel concreto fondersi di fine e di inizio – a partire da ciò che chiama la potente forza evocativa per tutti della benedizione appena ascoltata nella prima Lettura: “Ti benedica il Signore e ti custodisca”.

«La vita della nostra società civile ha un gran bisogno di questa dinamica di reciproca benedizione. Lo facevano i nonni e i nonni dei nostri nonni, sarebbe bello riprenderla. È un auspicio che assume particolare peso per Milano e le terre ambrosiane in vista dell’anno che si apre. Tutti ci auguriamo che l’Expo diventi catalizzatore di una comune azione da parte di soggetti personali e sociali perché Milano incrementi quell’amicizia civica che è nel suo DNA, ma che ha bisogno di trovare, nella sua storia attuale, nuove concrete forme espressive».

Sono, per questo, necessarie due condizioni secondo il Cardinale: in primis il riconoscimento che il bene comune è sempre bene della persona e della società in modo inseparabile e che «le istituzioni e le forze politiche, siano chiamate a prendere atto, a promuovere e a favorire tutti gli elementi di vita buona che caratterizzano la società».

Insomma, ciò che è chiesto alla politica è «l’umiltà di riconoscere sempre la precedenza del bene comune personale e sociale per regolare su di esso la propria azione», in una promozione dell’ascolto reciproco, «capace di lasciarsi fecondare dall’altro in vista del massimo riconoscimento possibile».

Un’“attitudine civica” che è questione, oggi, tutt’altro che scontata, ma ovviamente cruciale, specie nella società plurale e nella crisi che ancora morde la carne dei cittadini.

«Sette anni di crisi hanno lasciato pesanti tracce materiali nella vita quotidiana del nostro popolo. La stagnazione dell’economia si è accompagnata ad una divaricazione nell’andamento dei redditi e della ricchezza, portando più forti disuguaglianze, ma ha lasciato anche tracce non materiali, che si riassumono in un sentimento diffuso di impotenza e di perdita di speranza», scandisce, infatti, Scola.

Il riferimento, apertamente citato, è al mondo complesso della finanza di fronte al quale «sembra di poter dire che taluni passi son stati fatti nella giusta direzione per regolare i mercati e rafforzare la sicurezza delle istituzioni finanziarie, e che, tuttavia, non ci pare non aver ripreso la sua capacità di sostegno alla prudente attività di investimento e di produzione. Tale finanza rischia di perpetuare uno stile ‘disconnesso’ dal mondo del lavoro, ancora troppo simile a quello che aveva condotto alla crisi».

Da qui la richiesta di una finanza “buona”, «che davvero serva il lavoro», con regole necessarie, ma che non bastano. «Occorre rinvigorire una solida cultura del lavoro, capace di cura per il futuro sia nella sobrietà del consumo, sia nel coraggio prudente dell’investimento».

E tutto in vista di un più generale bene comune per cui esistono strade percorribili, qualunque sia la mondovisione cui ci si ispira: strade che hanno un nome preciso, «benedizione e servizio reciproci».

Per questo il cuore si riempie di speranza e si canta insieme il Te Deum, convocati dalla Chiesa.

«Far memoria dell’alleanza con il Dio vivo portata a compimento nella morte e nella resurrezione di Gesù Cristo, è veramente l’azione più importante che possiamo compiere alla fine di un anno e all’inizio del nuovo. In questa notte di passaggio si vede bene come il tempo di Natale già indirizza il nostro sguardo verso la Pasqua», perché Cristo, “si è fatto uomo per l’uomo”, conclude l’Arcivescovo..

 

Poi, la visita al piccolo Museo annesso alla Comunità di San Fedele che raccoglie opere antiche e contemporanee, in un suggestivo gioco di rimandi tra passato e futuro, da Romanino, a Sironi, Paladino, Spalletti, tra tecniche e oggetti differenti, pitture, sculture, installazioni – particolarmente ardita quella di Koumnellis -, reliquiari cinquecenteschi, la via crucis di Fontana, lo splendido Coro ligneo della chiesa con tarsie cinquecentesche, la Madonna della Cappella detta delle Ballerine e la bella sacristia sottostante San Fedele. Ai piedi del tabernacolo è posta un corona di spine modernissima di Parmiggiani.

«Non un museo, quanto di un itinerario attraverso i diversi misteri della fede cristiana per comprendere. Un luogo di riflessione, di meditazione e di preghiera dove siamo chiamati a essere interpellati sull’origine del cristianesimo», spiega il direttore padre Andrea Dall’Asta al Cardinale.

«Che il 2015 possa essere realmente foriero di pace, di giustizia e di ogni ben che il Signore ci può sempre concedere anche all’improvviso»: questo l’augurio finale tra la genet che sembra non voler lasciare andar via il Cardinale.

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