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Caritas Ambrosiana

Sempre più nuovi “poveri lavoratori”

L’aumento dei “working poors” tra i dati più significativi del decimo Rapporto dell’Osservatorio diocesano della povertà e delle risorse

31 Ottobre 2011

Questa mattina a Milano la Caritas Ambrosiana ha presentato il decimo Rapporto dell’Osservatorio diocesano della povertà e delle risorse, stilato sulla base dei dati relativi agli utenti di 59 centri di ascolto, del Servizio accoglienza immigrati (Sai), del Servizio accoglienza milanese (Sam) e dei Servizi integrati lavoro orientamento educazione (Siloe) nel 2010. Il dato che emerge è quello dei cosiddetti working poors, cioè «gli utenti che non riescono a far quadrare il bilancio familiare anche quando hanno un impiego», passati in tre anni dal 30 al 50%.

Il Rapporto analizza anche gli effetti della crisi sugli utenti dei centri di ascolto, aumentate del 10,7% rispetto al 2007. Tra loro, aumentano gli uomini (35,8%) e gli italiani (26,4%), diminuiscono invece gli stranieri irregolari (7,8%). Il lavoro rimane la necessità principale (51,6%), ma aumenta la richiesta di beni e servizi (da parte di un terzo degli utenti) e di sussidi economici (per l’11,2%).

Dall’identikit dell’utente tipico – tracciato sulla base delle 17 mila richieste d’aiuto giunte nel corso del 2010 ai 59 centri d’ascolto – emerge inoltre che un terzo ha meno di 35 anni. Gli stranieri provengono soprattutto da Perù, Marocco, Ecuador, Romania e Ucraina: oltre uno su quattro si trova in Italia da meno di meno anni. La maggior parte degli utenti è coniugato e spesso con uno o due figli a carico. Quanto al titolo di studio, il più comune è la licenza media inferiore.

Per don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana, è compito della politica far fronte alle nuove emergenze dovute alla crisi: «Dalle storie di queste persone si rilevano rassegnazione e mancanza di prospettive».

Non basta più il lavoro anche quando c’è

«Il lavoro è la questione centrale in tutti i dieci anni che abbiamo monitorato. La crisi l’ha accentuato ma ha messo in luce anche un altro aspetto del disagio: non è più sufficiente avere un’occupazione per potersi considerare al riparo dalla povertà», continua Davanzo. «I working poors, di cui i sociologi parlano da qualche anno – osserva – sono ormai una quota, fortunatamente ancora minoritaria ma in preoccupante ascesa, degli utenti dei centri di ascolto Caritas. Sono uomini, non più solo donne, italiani e non più solo stranieri, che con il coraggio della disperazione superano la vergogna sociale di bussare alle porte del parroco per chiedere non più il lavoro, che sanno di non poter ottenere, ma i "lavoretti", le prestazioni occasionali, il pagamento delle bollette del gas e della luce e dei libri di scuola dei figli». «Da queste storie emerge una rassegnazione e una mancanza di prospettive che toglie il respiro. Ridare ossigeno a queste persone è la sfida dei prossimi anni in cui la politica, innanzitutto, deve assumersi la responsabilità di farvi fronte, intervenendo sul mercato del lavoro, ma anche modificando i sistemi di protezione sociale oggi incapaci di dare una risposta ad ampie fasce della popolazione».

Un reddito di autonomia per una sussidiarietà attivante

Dall’analisi dei dati contenuti nei Rapporti sulle povertà degli ultimi 10 anni emerge che i servizi Caritas e i centri di ascolto hanno non solo svolto una funzione sostituiva dei servizi per l’impiego pubblici, ma sono diventati «il collettore di una domanda sempre più marcata per le politiche esplicite di contrasto alla povertà».

Per dare una risposta a questo bisogno servirebbe, dunque, un ripensamento dell’impostazione corrente del welfare. A questo proposito la Delegazione Caritas della Regione Lombardia (che riunisce le Caritas delle dieci diocesi lombarde) ha proposto l’attivazione sperimentale in Lombardia del reddito di autonomia. Secondo questa proposta i beneficiari riceverebbero un sostegno economico ma a fronte della sottoscrizione di un patto vincolante che prevede per esempio l’iscrizione ai centri per l’impiego, la partecipazione a corsi di riqualificazione professionale, l’obbligo di frequenza scolastica per i figli. La misura dovrebbe sostituire misure già esistenti. La copertura finanziaria sarebbe quindi garantita da una razionalizzazione della spesa sociale. «L’analisi dei dati del Rapporto sulle povertà impone la necessità di dare delle riposte più incisive. Quella del reddito minimo è una delle ipotesi che abbiamo voluto indicare», commenta don Davanzo.