Percorsi ecclesiali

L’Eucaristia, cuore della Domenica

Share

24 gennaio 2016

Un inizio di futuro e un seme di paradiso

È uno dei significati del segno della croce al termine della celebrazione, con cui il sacerdote benedice l’assemblea e che i fedeli accolgono a loro volta

A cura del SERVIZIO PER LA PASTORALE LITURGICA

15 Gennaio 2016

Al termine della messa, dopo Il Signore sia con voi, seguito dalla risposta del popolo E con il tuo spirito – cui si aggiungono, nel rito ambrosiano, i tre Kyrie eleison -, il sacerdote benedice l’assemblea dei fedeli con le parole Vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo e tracciando su di essa con la mano destra il segno di croce. A loro volta, i fedeli accolgono la benedizione facendo il segno di croce e confermando la benedizione ricevuta con l’Amen, detto o cantato.

In tal modo, anche la chiusura della celebrazione eucaristica, come già la sua apertura, risulta contraddistinta dal segno di croce. Ma mentre all’apertura tale segno è posto insieme dal sacerdote e dai fedeli, che si affidano alla potenza salvifica della Croce, alla chiusura interviene una distinzione ministeriale: il segno di croce tracciato dal sacerdote manifesta e attua il dono della benedizione che Dio riserva alla sua Chiesa in forza del mistero della Croce; la croce, impressa dai fedeli sul proprio corpo in sincronia con le parole e i gesti del sacerdote, attesta l’accoglienza nella fede di quel dono di grazia che opera, in coloro che si accostano alla mensa della Parola e del Pane di vita, un vero e autentico rinnovamento spirituale.

Cercando di comprendere in profondità il gesto del sacerdote, si possono mettere in luce due aspetti significativi e fra loro complementari. In primo luogo, l’efficacia della benedizione non poggia sulla figura umana che la dispensa, ma dipende totalmente dalla potenza di Dio che opera in lei e per suo tramite. La benedizione del sacerdote è la benedizione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la Trinità santissima, il Dio tre volte santo che Gesù ci ha fatto conoscere in modo pieno e definitivo proprio nella sua morte di croce. Con rara efficacia Romano Guardini scriveva: «Benedire può soltanto chi possiede autorità. Benedire può solo chi sa creare. Benedire può soltanto Iddio». Le parole usate dal sacerdote (Vi benedica Dio onnipotente…) e il segno di croce che le accompagna lo comunicano in modo del tutto eloquente.

In secondo luogo, la benedizione trinitaria con il segno di croce porta in sé tutta quanta la ricchezza della liturgia eucaristica che sta per concludersi e la affida a coloro che vi hanno preso parte perché ne diano testimonianza al mondo. Benedire è volgere uno sguardo pieno d’amore, mettersi dalla parte del benedetto, sostenere il suo cammino, accompagnare i suoi passi. Quando ci benedicono, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l’unico Dio nel quale crediamo e speriamo, l’unico Signore che amiamo e adoriamo «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 5), prendono dimora presso di noi. Non siamo più donne e uomini in balia di noi stessi, delle nostre povere e deboli forze. Grazie alla comunione con Cristo, che si è andata approfondendo nel corso della celebrazione fino al momento culminante della comunione sacramentale, la benedizione ci rafforza nel nostro uomo interiore, abilitandoci alla testimonianza del Vangelo e all’esercizio assiduo della carità e assicurandoci la protezione divina. Come scriveva ancora Guardini: «Dio, benedicendo, ferma lo sguardo sulla sua creatura: la chiama per nome. Il suo amore onnipotente si volge al cuore e all’intimo nucleo della creatura e dalla mano di Dio si effonde la forza che rende buoni: “Vi guarderò e vi farò crescere”».

Anche il corrispondente segno di croce con cui i fedeli ricevono la benedizione del Signore su di loro, nella loro mente e nel loro cuore, racchiude almeno due grandi significati. Accogliere la Croce, il segno distintivo di Gesù che ha vissuto nella logica dell’amore che si dona fino al sacrificio di sé («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» Gv 15, 13), significa anzitutto accettare con gioia di essere conformati a lui, lasciando che sia lui a ispirare ogni concreta scelta della nostra vita. Così il segno di croce che tracciamo sul corpo mentre siamo benedetti ci consacra a Cristo, ci riveste di lui, imprime in noi la sua immagine viva e ci fa entrare nel novero dei suoi amici; ma anche ci arruola nella sua milizia, ci sottopone al suo giogo soave e ci espone a una rischiosa testimonianza di lui fino al martirio.

In questo segno di croce tracciato sul corpo ogni fedele è chiamato infine a sperimentare anche l’anticipo della promessa che Gesù ha fatto per coloro che, in ogni tempo e in qualunque circostanza, non avrebbero avuto timore di riconoscerlo davanti agli uomini: «Anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10, 32). Il segno di croce, che accompagna la benedizione finale prima del congedo, è dunque un inizio di futuro e un seme di paradiso, grazie al quale si può «andare in pace», pieni di speranza «nel nome di Cristo».