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Integrazione

Un papà milanese: «I miei tre bambini al Rubattino con i figli rom di Florin»

Guido Maffioli ci scrive raccontando la sua esperienza di amicizia tra famiglie italiane e rom. Conoscersi e stringersi la mano - scrive - è l'antidoto alla paura del diverso. È quello che il cardinale Tettamanzi chiama "Il dialogo da persona a persona, che comporta il prendersi a cuore l'altro, interessarsi di lui, della sua vita, della sua cultura, dei suoi progetti. Un dialogo connotato dalla reciprocità"

di Guido MAFFIOLI un papà milanese

22 Luglio 2011

Abito a Milano, nel quartiere Rubattino. Sono genitore di tre bambini in età scolare, come i figli di Florin, un papà rom.

Erano sistemati – Florin e la sua numerosa famiglia – al campo in via Rubattino, quello sgomberato a novembre 2009. La loro famiglia come tutte quelle del campo ha subito la violenza delle ruspe e dello sgombero, scissione del gruppo familiare, senza destinazione abitativa stabile. Questa è stata offerta solo a poche famiglie, tra cui quella di Florin, grazie all’operato della Comunità di Sant’Egidio e alla solidarietà delle maestre dei bambini rom che, prima dello sgombero, frequentavano numerosi le scuole del quartiere.
E, ancora, l’accoglienza è arrivata da parte di famiglie dei compagni di classe degli stessi bambini e da tanti cittadini del quartiere: il frutto di concreti percorsi di integrazione troppo spesso bruscamente interrotti dalle ruspe.
Florin e la sua famiglia sono ospitati prima dal parroco della vicina via Padova, poi trovano una vera casa in affitto, con l’aiuto degli scout di zona. Florin ha trovato un lavoro regolare con cui sostenere la spesa. Una borsa-lavoro sta dando una preziosa opportunità anche al suo figlio maggiore.

Quando vedo Florin la mia mano stringe la sua per un saluto, non va a stringere il mio portafoglio nella tasca dei pantaloni: ho di fronte un genitore, una persona che paga l’affitto e che tutti i giorni va a lavorare; non mi sfiora nemmeno l’idea che possa avere interesse a derubarmi.
Tra qualche settimana mio figlio andrà in quinta elementare e il suo zaino alla fine dell’anno potrà servire ancora per un po’ ad un compagno di scuola rom che non può permetterselo: i genitori delle scuole di tutta la zona, infatti, organizzano questa raccolta ormai da due anni.
Ci sono bimbi rom che hanno trascorso insieme alle famiglie dei propri compagni di classe, gagi, le prime vacanze fuori dal campo.

Esempi, esperienze che vedo moltiplicarsi, concrete, quotidiane, basate su relazioni vere, e che riempiono di significato la parola integrazione. Storie che non hanno come protagonisti Angelina Jolie, Nelson Mandela o San Francesco. Né santi né eroi né vip.
Sono storie di reciprocità, di relazione tra persone, alcune con necessità più basilari di altre, irrinunciabili, non rimandabili, acqua, cibo, casa, scuola, lavoro, sicurezza.

La strategia degli sgomberi è superata nei fatti, è priva di ogni significato, anche pratico, non giova né alla sicurezza né alla legalità.
Del resto, le famiglie che non hanno trovato soluzioni migliori sono tornate nelle zone dismesse del quartiere Rubattino e anche quelle mandate al loro paese dal presidente Sarkozy cercheranno di fare ritorno in ogni modo.

Oltre alla mano di Florin vorrei poter stringere quella di molti altri rom lavoratori, inquilini, genitori, cittadini: mi sentirei meglio, mi sentirei più sereno nel far crescere i miei figli in questa città, avrei alcune persone in più da salutare nel quartiere e alcune in meno di cui aver paura.

Il coraggio di Alina

Anche Paola Bini, pensionata con molto tempo libero, ha conosciuto la realtà dei Rom nel campo di Segrate dove, dopo lo sgombero di via Rubattino, arrivarono alcune famiglie. Qui Paola ha conosciuto Alina che «è una donna Rom molto coraggiosa, determinata a integrarsi nella vita milanese per dare ai suoi figli una vita degna di essere vissuta. Tra noi è nata subito una grande simpatia, il “lei” presto è stato sostituito dal “tu” e la strada per venire da Segrate a casa mia le è diventata familiare. Senza dubitare della sua onestà, l’ho assunta per fare le pulizie, uscendo serenamente mentre lei rendeva lucidi i pavimenti. Non solo, quando per un periodo mi sono assentata da Milano per recarmi in Australia, in seguito a un nuovo sgombero, ho ospitato Alina e i suoi quattro figli a casa mia. Quando sono tornata ho trovato la casa tirata a lustro e non mi mancava nulla. In seguito, insieme ai genitori e insegnanti della scuola elementare del quartiere e alla Comunità di Sant’Egidio, abbiamo deciso di aiutare Alina a trovare una casa per non dover affrontare un nuovo inverno al freddo e al gelo».