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Il nuovo Arcivescovo

Vive con passione questo tempo

Un “ritratto” di Angelo Scola fatto da uno dei suoi Vicari a Venezia

Valter PERINI Vicario episcopale per l’Evangelizzazione e la catechesi di Venezia

12 Settembre 2011

Uno degli aspetti che desta l’attenzione di chi osserva l’azione pastorale del cardinale Scola e studia i suoi scritti è lo sguardo positivo, non ingenuo, che egli ha verso il mondo. Non è un uomo nostalgico del tempo passato e neppure vive proiettato in un futuro utopisticamente inteso. Egli si trova a suo agio ovunque e con chiunque nell’oggi. È questo il suo tempo: ne è incuriosito, lo ama, vuole conoscerlo, desidera confrontarsi con tutti con rispetto e richiedendolo a sua volta. È consapevole di poter ricevere molto da tutti ma anche di poter dare molto attingendo alla bimilllenaria esperienza della Chiesa. Il mondo della società civile – quello laico, politico, finanziario, imprenditoriale, culturale, universitario, scolastico, operaio, sindacale – lo cerca, lo vuole ascoltare, sembra averne bisogno. Scola non delude nessuno e va ovunque. Con il suo esempio indica ai suoi come vuole la Chiesa: spalancata sul mondo! Con un criterio preciso, un metodo di giudizio di fede che egli trova nelle due espressioni paoline che non si stanca di ripetere: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male» (1Ts 5,19-22). E ancora: «…Tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente e il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 21b-23). Uno dei compiti più urgenti oggi è quello di annunciare Gesù Cristo a molti che non ne hanno mai sentito parlare e a un numero ancora più grande di persone che si sono allontanate dalle nostre comunità o le frequentano saltuariamente. Le indicazioni del cardinale Scola a Venezia sono state precise fin dalla prima ora: soltanto una comunità, anche piccola, che vive in modo integrale l’esperienza cristiana, è nelle condizioni di dire a ogni fratello e uomo: «Vieni e vedi!».

La pluriformità nell’unità
Il cardinale Scola nei suoi anni veneziani ha accolto favorevolmente tutte le associazioni e i movimenti presenti nel Patriarcato, garantendo a tutti spazio e libertà e si è prodigato nel favorire un reale interscambio fra questi e le comunità parrocchiali. Per il Patriarca è stata una questione di obbedienza allo Spirito, essendo la dimensione carismatica coessenziale a quella istituzionale. Per questo sente come suo compito prioritario di pastore assecondare lo Spirito, evitando il rischio, per lui imperdonabile, di estinguerlo (Lg 12). È a partire da questa visione teologica sulla tradizione viva della Chiesa che si comprende il suo richiamo, rivolto soprattutto ai presbiteri, a essere "magnanimi" nell’affrontare le tensioni che possono crearsi nelle associazioni antiche e nuove, e la sua apertura curiosa di fronte a ogni forma di testimonianza che presenti i caratteri della novità. C’è però una conversione richiesta a tutti, parrocchie, associazioni e movimenti: vivere come metodo della Chiesa-comunione la pluriformità nell’unità. Una Chiesa pluriforme è quanto vuole lo Spirito per venire incontro alle diverse sensibilità delle persone che si avvicinano a Cristo e alla sua comunità. La pluriformità garantisce inoltre la missionarietà, in quanto i cristiani, in base al loro carisma, raggiungono i diversi «territori umani» oggi più che mai dislocati e mobili. Il carisma è l’elemento persuasivo e convincente del fascino e della bellezza dell’evento cristiano. In questo senso la Chiesa è un luogo dove si può fare l’esperienza di una grandissima libertà. L’unità è garantita dalla sinfonia delle differenze. Queste le parole del Cardinale: «Ecco che cosa è la pluriformità nell’unità: la gioia di stabilire la comunione e di ristabilire la somiglianza, giocando sulla differenza. Le differenze non rompono, se sono vissute con questa passione dello stabilire la comunione e del ristabilire la somiglianza».

Uno linguaggio che non cede ai luoghi comuni
L’argomentare del patriarca Scola è sempre stato caratterizzato da un grande rigore logico e dalla profondità di chi non cede mai ai luoghi comuni. Il suo linguaggio è molto personale, talvolta complesso e, da qualcuno, definito "laico". Credo si possa convenire su quest’ultima valutazione se si tiene presente lo sforzo di Scola di esprimere la complessità dell’esperienza umana, personale e comunitaria, che è per sua natura universale e quindi tutta tesa a raggiungere, mediante il dialogo, ogni uomo e donna. Un altro aspetto degno di nota del suo modo di relazionarsi con gli ascoltatori consiste nella capacità di mobilitarli, in modo istantaneo, mentre dialoga con loro impegnandoli ad assumere posizione, nella libertà, rispetto alle sue affermazioni.

Un’attenzione particolare verso la fragilità
Il cardinale Scola a Venezia ha incontrato i malati, i poveri, i senza fissa dimora, gli extracomunitari, i tossicodipendenti, i malati di Aids e quelli psichici, gli anziani nelle case di riposo. Per il mondo della fragilità ha avuto un’attenzione particolare, tanto che in Visita pastorale è uno degli ambiti che non ha mai delegato a nessuno. Dagli incontri con le persone provate nel fisico ne esce sempre profondamente segnato. Difficile dire i pensieri che attraversano il suo animo. In genere non parla. Più volte l’ho visto commosso fino alle lacrime. Le parole di consolazione che escono dalla sua bocca sono sempre di contenuto teologico e spirituale molto forte. Mai indulge al sentimentalismo e alla buona parola facile. Nei suoi incontri con persone singole o in gruppo gravemente segnate nelle capacità intellettuali e verbali, il Cardinale sa dimostrare affetto e si lascia da loro abbracciare; le invita a pregare, cantare, intessendo con loro un dialogo così serio che lascia i suoi collaboratori sbalorditi e perplessi.
Almeno una volta mi permisi di dirgli: «Patriarca, ma è sicuro che la seguano in tutte le cose che dice?». Egli, ancora compreso nell’esperienza appena vissuta, mi rispose: «Eccome se capiscono! Più di quanto noi possiamo immaginare». Mi piace narrare un episodio. Eravamo a Marghera in visita a un centro di igiene mentale, presenti medici, pazienti, parenti, volontari. Dopo i saluti, mentre il Patriarca cominciava a stringere le mani, un paziente gridò: «Patriarca, la malattia mentale è come una stella che si spegne!». Il Cardinale non lo lasciò neppure terminare: «No, la luce della tua stella è più forte della malattia. E, con l’aiuto del Signore e di tutti i tuoi amici qui presenti, continuerà a brillare!».