Share

25 Giugno 2003

Feudatari del contado, tra gli altri, furono gli Arcimboldi, uno dei casati più potenti del ducato di Milano, che per quasi settant’anni, dal 1484 al 1555, gestì nepotisticamente la Chiesa ambrosiana, trasmettendo di parente in parente la carica di arcivescovo. E fu forse Giovanni Arcimboldi, ambasciatore degli Sforza, cardinale di Sisto IV, a dare ospitalità nel castello di Valeggio all’adolescente Pico della Mirandola. Sì, proprio lui, il simbolo stesso dell’umanesimo rinascimentale, l’uomo più dotto del suo tempo (e forse di tutti i tempi), dotato di una memoria prodigiosa, pari soltanto alla sua curiosità e alla sua sete di sapere. Il diciasettenne Pico sostò qui, si dice, nella pace della Lomellina, a studiare, forse a svagarsi, prima di approdare alla corte di Lorenzo il Magnifico, prima di presentare a Roma le sue novecento tesi sullo scibile umano. Ma a noi oggi non è dato percorrere le stanze in cui riecheggiarono i pensieri del giovane filosofo, né addentrarci nelle alte sale che accolsero Carlo V e Francesco I, principi vincitori o generali in ritirata. La rocca di Valeggio è chiusa, inanimata, inavvicinabile. E da molto, molto tempo ormai. È come se uno strano maleficio si fosse abbattuto sul maniero, come se un incantesimo fiabesco avesse fatto addormentare ogni cosa, dentro e attorno. Togliendo questo castello dal tempo, senza che il tempo tuttavia si sia fermato. Ed ecco la rovina, allora, piccola e grande. Ecco l’abbandono, che ha trasformato il giardino in una selva, che ha arrugginito inferriate e catene, che ha sgretolato muri e memorie. Padroni del luogo oggi sono i pavoni. Splendidi, maestosi uccelli che consapevoli della loro eleganza si esibiscono per i rari visitatori fermi dietro i cancelli, allargando la coda occhiuta, drizzando il collo aristocratico con gesto infastidito. È una visione che ha qualcosa di surreale, di irreale perfino, e che proprio per questo affascina e meraviglia: un castello splendido e dimenticato, carico di anni e di storia, abitato soltanto da pavoni e ricordi, entrambi schivi e distanti. Ma la realtà, per fortuna, è carica di promesse. Il castello di Valeggio è stato acquistato infatti da una fondazione privata, un centro di studi sulla Lomellina che già ha fatto molto sul territorio, molto sta facendo, e molto farà. Quel che è successo attorno al non lontano castello di Sartirana è di buon auspicio, se non ottimo. Lì, a Sartirana, da anni si organizzano e si presentano mostre e iniziative culturali, di alto livello. Qui, a Valeggio, si progetta di fare qualcosa di simile, destinando le stalle e i fienili in via di recupero a suggestivi spazi espositivi. Fra due, al massimo tre anni, il castello di Teodolinda e di Pico tornerà a rivivere, ci assicurano. Valeggio ci conta, attendendo la sua occasione. Noi ci speriamo, fiduciosi. I pavoni, loro, non hanno fretta. Passeggiano, osservano, danzano. E se sanno qualche segreto, e potete essere certi che è così, lo sveleranno solo al tempo opportuno.