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Siamo a Gravedona, sulla sponda occidentale dell�alto Lario, al cospetto di un monumento unico, che non ha eguali nel pur ricco patrimonio del romanico lombardo. Un tempio di rara armonia, di squisita eleganza, dove ogni dettaglio, ogni particolare sembra rispondere a un preciso programma, per il godimento estetico di chi guarda, per l�elevazione spirituale di chi osserva. Quasi un�architettura per l�anima.Il lago � l�, a due passi dalle sue mura, e te lo senti addosso, come un abbraccio, mentre ti sussurra di storie lontane, che lui ha visto, che lui ha vissuto. Di quando, ad esempio, Santa Maria del Tiglio ancora non era, e qui, proprio nello stesso luogo, sorgeva un antico battistero a san Giovanni dedicato. O di quando Ludovico il Pio, figlio e successore di Carlomagno, volle spingersi fin quass� per verificare di persona di un prodigio che gli era stato raccontato. O di quando ancora, su questa riva, i gravedonesi tesero un�imboscata agli uomini in armi del Barbarossa... Ma � solo un�eco, un mormorio indistinto di cui si coglie a tratti qualche breve espressione.Cos� �. Le notizie sull�origine di Santa Maria del Tiglio sono inversamente proporzionali al suo splendore, cio� pressoch� nulle. Ma se tacciono le fonti, parlano le pietre: il tempio comasco � l� da ammirare, meravigliosa realt�. Anche se tutto � diverso da come ce lo si potrebbe aspettare, tutto � inatteso, strano, sorprendente. Pare un cubo, ad esempio, massiccio, solidissimo. Eppure non c�� pesantezza, non c�� oppressione. Al contrario: ogni struttura, ogni elemento, sembra innalzarsi, tendere al cielo e svettare. Cos� accade per la facciata, ma anche per la parte absidale e i fianchi stessi. Uno slancio che culmina nella torre campanaria, posta sulla facciata e di forma ottagonale, particolari entrambi a dir poco inconsueti. Tanto che ancor oggi gli esperti si interrogano se questo campanile sia quello originario oppure no, divisi tra chi lo vuole geniale creazione dei maestri comacini e chi lo attribuisce a maestranze tardo-rinascimentali influenzate dal Bramante. La risposta, se mai ci sar�, andr� senza dubbio ad arricchire la storia dell�arte, ma non toglier� un�oncia al fascino di questa straordinaria costruzione, ne siamo certi.Semplice quanto raffinata � poi la modalit� costruttiva di tutta la chiesa, che gioca sull�alternanza dei materiali lapidei tipici del Lario, intervallando i grigi blocchi di Olcio con i conci candidi di Musso. Ma il gioco dei colori � ben pi� ricco, in verit�. Quando il sole buca le nuvole sul lago, Santa Maria del Tiglio s�arricchisce di sfumature cangianti, di riflessi celesti e ambrati che mutano col mutare della prospettiva, anche di un passo soltanto.Concedetevi ancora qualche istante qui fuori all�aperto, per accarezzare la delicatezza di ornamenti appena accennati (come gli archetti pensili, o la morbida strombatura delle monofore, o la cornice a dente di sega al culmine delle pareti), per scoprire la bellezza di medievali rilievi (stelle, nodi, e un centauro che insegue un cervo, simbolo tanto caro all�iconografia romanica). Soffermatevi, soprattutto, a valutare la pulizia delle linee, la simmetria delle forme. La chiesa d� le spalle al lago, fedele all�orientamento canonico verso l� dove sorge il sole. Ma guardando da lontano, dall�alto di una delle balconate panoramiche tra le ultime case di Gravedona, proprio la parte absidale pare diventare la �vera� facciata di Santa Maria del Tiglio, protesa alle acque. E forse non � affatto un caso...L�interno offre ulteriori motivi di stupore. Quel che si intuiva da fuori, ora lo si percepisce con chiarezza. Il tempio ha pianta quadrata, con l�innesto su tre lati di absidi semicircolari, secondo un modulo � si pensa, si ipotizza � che doveva essere quello del primigenio battistero. Chi realizz� il santuario del Tiglio, insomma, fece qualcosa di assolutamente nuovo, ma rispettando lo spazio antico, dando cos� continuit� nell�innovazione, rivestendo di modernit� una secolare presenza. E tutto questo avveniva, � probabile, attorno alla met� del XII secolo.La luce, che filtra generosa, ma senza abbagliare, svelando poco a poco, gioca tra pieni e vuoti che si susseguono sia nella parte bassa che nell�alzato. Nicchie, rientranze, loggiati, colonne, archi, ghiere� Il tutto ad alleggerire e ad innalzare, e tuttavia senza sminuire in nulla quella che � la forza, il raccoglimento dell�architettura romanica, qui a uno dei suoi massimi gradi di maturit� e di bellezza.Sulle pareti si rinnova il contrasto chiaro/scuro, nero/bianco di pietre diverse, ma con ancora pi� vigore, con intento decorativo ancora maggiore. Nel Trecento, pittori che gi� avevano appreso la lezione di Giotto realizzarono in Santa Maria del Tiglio vasti cicli di affreschi, dei quali rimangono ampi brani sparsi. Come il grandioso Giudizio Universale sulla controfacciata, con la personificazione dei Vizi e della Virt�. O come l�immagine curiosa del martire Lucio che porge una forma di formaggio a un affamato, affascinante figura di santo-contadino assai venerata in queste contrade.Dall�alto veglia un gigantesco crocifisso ligneo, romanico anch�esso, antico e splendido quanto la chiesa che lo accoglie. Le braccia spalancate, inchiodate alla croce. Ma la testa sembra sporgersi, e il Cristo guardare gi� verso i fedeli. E ci si sente confortati. Siamo finalmente a casa, al cospetto di Dio.

19 Novembre 2003

testi e foto di Luca Frigerio

Siamo a Gravedona, sulla sponda occidentale dell’alto Lario, al cospetto di un monumento unico, che non ha eguali nel pur ricco patrimonio del romanico lombardo. Un tempio di rara armonia, di squisita eleganza, dove ogni dettaglio, ogni particolare sembra rispondere a un preciso programma, per il godimento estetico di chi guarda, per l’elevazione spirituale di chi osserva. Quasi un’architettura per l’anima. Il lago è lì, a due passi dalle sue mura, e te lo senti addosso, come un abbraccio, mentre ti sussurra di storie lontane, che lui ha visto, che lui ha vissuto. Di quando, ad esempio, Santa Maria del Tiglio ancora non era, e qui, proprio nello stesso luogo, sorgeva un antico battistero a san Giovanni dedicato. O di quando Ludovico il Pio, figlio e successore di Carlomagno, volle spingersi fin quassù per verificare di persona di un prodigio che gli era stato raccontato. O di quando ancora, su questa riva, i gravedonesi tesero un’imboscata agli uomini in armi del Barbarossa… Ma è solo un’eco, un mormorio indistinto di cui si coglie a tratti qualche breve espressione. Così è. Le notizie sull’origine di Santa Maria del Tiglio sono inversamente proporzionali al suo splendore, cioè pressoché nulle. Ma se tacciono le fonti, parlano le pietre: il tempio comasco è lì da ammirare, meravigliosa realtà. Anche se tutto è diverso da come ce lo si potrebbe aspettare, tutto è inatteso, strano, sorprendente. Pare un cubo, ad esempio, massiccio, solidissimo. Eppure non c’è pesantezza, non c’è oppressione. Al contrario: ogni struttura, ogni elemento, sembra innalzarsi, tendere al cielo e svettare. Così accade per la facciata, ma anche per la parte absidale e i fianchi stessi. Uno slancio che culmina nella torre campanaria, posta sulla facciata e di forma ottagonale, particolari entrambi a dir poco inconsueti. Tanto che ancor oggi gli esperti si interrogano se questo campanile sia quello originario oppure no, divisi tra chi lo vuole geniale creazione dei maestri comacini e chi lo attribuisce a maestranze tardo-rinascimentali influenzate dal Bramante. La risposta, se mai ci sarà, andrà senza dubbio ad arricchire la storia dell’arte, ma non toglierà un’oncia al fascino di questa straordinaria costruzione, ne siamo certi. Semplice quanto raffinata è poi la modalità costruttiva di tutta la chiesa, che gioca sull’alternanza dei materiali lapidei tipici del Lario, intervallando i grigi blocchi di Olcio con i conci candidi di Musso. Ma il gioco dei colori è ben più ricco, in verità. Quando il sole buca le nuvole sul lago, Santa Maria del Tiglio s’arricchisce di sfumature cangianti, di riflessi celesti e ambrati che mutano col mutare della prospettiva, anche di un passo soltanto.