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Famiglia-Lavoro

Fondo, la mobilitazione del territorio

Continua la raccolta di contributi e prosegue la distribuzione dei finanziamenti. Luciano Gualzetti, segretario del Comitato di gestione: «Ormai in quasi tutti i decanati è attivo uno sportello»

di Pino NARDI

5 Maggio 2009

Il Fondo famiglia-lavoro procede a pieno regime. Sfondata quota 4 milioni nella raccolta (i cittadini che hanno fatto un versamento sono 1460), continua la destinazione delle risorse: lo scorso 28 aprile il Consiglio di gestione ha deliberato 144 finanziamenti per un totale di 389.955 euro.
«È significativo il grande lavoro di coinvolgimento e di condivisione del territorio – sottolinea Luciano Gualzetti, segretario del Comitato di gestione del Fondo -. Sono già partiti 64 decanati – in pratica la generalità della diocesi (a parte una decina di realtà molto piccole, ndr) – in modo serio, incontrando le persone e promuovendo il dialogo con la segreteria centrale. Abbiamo analizzato 200 richieste nel recente incontro, ma nel frattempo ne sono già arrivate altre 100. Inoltre abbiamo cercato di individuare criteri economici che possano dare aiuto significativo a famiglie che tra 3-4 mesi si spera non ne abbiano più bisogno».
Una struttura ben ramificata sul territorio che fa da antenna per recepire un disagio crescente e che dà risposte anche oltre il Fondo. «C’è questa grande capacità di ascoltare le persone – conferma Gualzetti -. In molti casi non si è potuto aiutarli con il Fondo, perché non avevano i requisiti, però vengono seguiti ugualmente dalle Acli e dai centri d’ascolto. C’è dunque la mobilitazione del territorio, che è l’aspetto che ci interessa di più perché può rimanere anche dopo. Questo è uno degli obiettivi delineati dal cardinale Tettamanzi: ricostruire legami di solidarietà, condizione perché si possa uscire dalla crisi».

Le storie

Tra le tante richieste emergono storie, situazioni, fasce sociali più deboli e colpite di altre. «Grande attenzione è stata data a nuclei familiari con molti figli minori – sottolinea Silvana Migliorati del Siloe -. Sono persone quasi tutte conosciute dai centri di ascolto. Quindi si sa qual è la condizione di fondo delle famiglie, ma si affacciano alla richiesta dell’intervento economico per la prima volta».
La crisi picchia duro con la disoccupazione. I più preoccupati sono coloro che hanno un basso livello di competenze. «Di questi ne abbiamo parecchi, è la fascia meno specializzata: sono italiani con la licenza elementare – afferma Migliorati -. Hanno sempre fatto l’operaio generico e con la crisi diventa molto difficile la loro ricollocazione». Le aziende infatti tagliano i servizi di base, i rami più piccoli e mantengono quelli specializzati, il marketing e gli operatori con l’estero. «Un uomo del Marocco, con 4 figli piccoli, ha sempre fatto lavori a chiamata. Quindi la precarietà nella precarietà. Con la crisi la cooperativa di servizi ha diminuito sempre più il numero di ore: adesso sono solo 4 al mese. Il centro d’ascolto ha attivato i servizi sociali e il Centro aiuto alla vita perché è nato da poco l’ultimo figlio. Però è difficilissima la sua ricollocazione, perché ha sempre svolto un lavoro dequalificato (traslochi, pulizia del verde…) e oggi non ci sono più commesse».
Ma a fare le spese della crisi sono anche i piccoli artigiani, le imprese individuali, che sono fallite. La mancanza di reddito generalizzata crea crisi pure nella vendita al dettaglio. «Penso, per esempio, a un idraulico con tre figli – racconta Migliorati – in passato aveva mantenuto bene la propria famiglia, ma da gennaio non viene pagato dai clienti e ha un calo drastico anche delle commesse. Probabilmente chiuderà: è un bel problema perché ha già una certa età. In questo caso occorrerà una sua riqualificazione».
E poi i single. Finora sono 28 i casi seguiti di persone sole che perdono il lavoro, in maggioranza italiani. «Sono i più deboli, perché non possono fare affidamento sull’altro coniuge e la loro situazione precipita – conclude Migliorati -. Per queste persone abbiamo un’attenzione particolare segnalandoli ai servizi sociali, ma anche al centro per l’impiego e a tutte le agenzie per la formazione e l’inserimento lavorativo».