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Intervento

«Anche il Museo Diocesano
può essere luogo di conversione»

Il direttore Paolo Biscottini commenta la Lettera pastorale del cardinale Angelo Scola «Educarsi al pensiero di Cristo», soffermandosi in modo particolare sulla "dimensione culturale della fede".

di Paolo BISCOTTINI Direttore Museo Diocesano di Milano

6 Ottobre 2015

Nella sua recente Lettera Pastorale l’Arcivescovo nota come l’arte rivesta un «ruolo centrale» «per educare al pensiero di Cristo». Tutta la Lettera pone al centro il pensiero di Cristo e costituisce un invito ad averlo, a «pensare secondo Cristo, cioè riconoscere nella persona di Gesù il criterio per guardare, leggere e abbracciare tutta la realtà».

La riflessione del Cardinale Scola interpella dunque tutto e tutti, senza escludere l’arte, troppo spesso considerata, nella nostra epoca, un ambito per addetti ai lavori, oppure per la parte più elevata della società. Non è così, ma soprattutto non lo è proprio per le parole dell’Arcivescovo, rivolte a tutti: anche l’arte può educare al pensiero di Cristo e dunque contribuire in modo rilevante al formarsi di quella «mentalità che scaturisce dall’aver parte con Cristo».

Siamo troppo abituati a sospingere le questioni dell’arte e il suo stesso senso all’interno di quella bellezza di cui in realtà ci sfugge la natura morale e spirituale. E non si tratta soltanto di riproporre la vecchia distinzione fra arte sacra e arte profana. Questa distinzione non esiste e non è mai esistita, se consideriamo che la ricerca dell’artista tende a dar forma a ciò che si intuisce in sé, a quel desiderio di essere di più e migliore di come si appare, al desiderio di un luogo in cui finalmente sostare e trovare un senso.

“Bellezza” è aspirazione al bello e al bene, che già alberga nell’intimo di ogni uomo e in cui si esprime il bisogno di Dio. Questa la ricerca che l’arte suggerisce a chi la contempla. Un invito che non deve sfuggire e che, chi opera nel mondo dell’arte, nel museo soprattutto, deve rendere esplicito, semplice, perché diventi esperienza educativa.

Ma come può, chi lavora nel museo, essere davvero capace di ciò? La sfida è grande, ma l’avvio è nell’esperienza personale, ponendosi innanzi all’opera non in modo intellettuale, ma come in ascolto, lasciandosi prendere dall’atmosfera che l’arte suscita, dalle emozioni che genera: colori, luci, e poi il segno che definisce spazi, forme, dando vita a un racconto, cui non è certo estranea l’arte astratta. Non è detto che ci educhi al pensiero di Cristo il soggetto religioso, ma lo sguardo profondo che l’opera sollecita, mentre tutto diventa allegoria e simbolo, narrazione, appunto, del mistero che è in noi, prima che altrove.

Più volte mi soffermo a pensare alla necessità dell’arte. Una necessità che è di chi la crea, ma anche di chi si pone dinanzi ad essa con spirito contemplativo e infine per ritrovare se stesso.

La Chiesa non può sottovalutare l’importanza del museo, di ogni museo, ma soprattutto di quelli che le sono affidati e che, per loro natura, di questa narrazione fanno la ragione della loro esistenza, spalancando le porte ad una nuova compagnia a cui tutti sono invitati.

Il nostro Arcivescovo sottolinea questa possibilità e la offre come il criterio nuovo per guardare e pensare come Cristo. Cercando il vero, il bello, il buono, ascoltando il richiamo della nostra anima, che tutto ciò conserva in sé, nascostamente. Così il museo può diventare il luogo di una conversione quotidiana, dove la speranza rinasce, mentre scorgiamo nel dipinto, nella scultura, nel video più innovativo, l’aspirazione a vivere cercando e andando oltre le apparenze del reale.