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Riflessione

Svelare la Bellezza di Dio: il ruolo di artisti e committenti nel nostro tempo

Per la Chiesa è fondamentale riprendere quel ruolo di committenza che l'aveva caratterizzata per tanti secoli perché sappia farsi interprete, insieme agli artisti, delle speranze dell'uomo di oggi contro i troppi messaggi di chiusura, di superficialità, di stordimento o di degradazione. Un approfondito intervento di Andrea Dall'Asta su tematiche che saranno al centro del nuovo corso proposto dalla diocesi di Milano.

di Andrea DALL'ASTA S.I. Direttore Galleria San Fedele Redazione

8 Gennaio 2010

Un aspetto fondamentale su cui si misura l’arte contemporanea è in relazione alla sua capacità di interpretare i temi fondamentali dell’uomo. Non a caso, il desiderio che l’arte riveli la bellezza costituisce una delle maggiori preoccupazioni dell’ultimo discorso di Benedetto XVI alla Cappella Sistina, pronunciato di fronte a 260 artisti provenienti da tutto il mondo. Che l’artista – sottolinea il Papa – sia custode della bellezza, perché possa parlare al cuore dell’uomo, toccare la sensibilità individuale e collettiva, suscitando sogni e speranze e ampliando gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. Perché nella Bellezza c’è il segno di Dio. Che l’arte possa elevare l’uomo verso l’alto, facendosi annunciatrice di speranza. Un aspetto fondamentale su cui si misura l’arte contemporanea è in relazione alla sua capacità di interpretare i temi fondamentali dell’uomo. Non a caso, il desiderio che l’arte riveli la bellezza costituisce una delle maggiori preoccupazioni dell’ultimo discorso di Benedetto XVI alla Cappella Sistina, pronunciato di fronte a 260 artisti provenienti da tutto il mondo. Che l’artista – sottolinea il Papa – sia custode della bellezza, perché possa parlare al cuore dell’uomo, toccare la sensibilità individuale e collettiva, suscitando sogni e speranze e ampliando gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. Perché nella Bellezza c’è il segno di Dio. Che l’arte possa elevare l’uomo verso l’alto, facendosi annunciatrice di speranza. Purtroppo l’arte contemporanea si è fatta molto frammentata, autoreferenziale, dai contenuti troppo esili e fragili. È sufficiente visitare molte mostre in corso, anche di grande successo, per comprendere come risulti talvolta difficile interpretare il significato delle immagini proposte, discernere le loro stratificazioni di senso. Immagini troppo spesso vuote, prive di significato. Costruite più per alimentare un mercato che per promuovere valori reali. È questo il segno di una crisi culturale e spirituale verso la quale non possiamo restare complici o indifferenti. In questo senso, credo che oggi più che mai occorra riflettere sulla bellezza come apertura ai valori fondamentali, come possibilità di dischiudere la nostra vita al trascendente, di rimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’Infinito. La bellezza rimanda a una densità di senso che interroga, interpella, facendoci compiere un esodo da noi stessi verso gli altri, Dio. Amare la Bellezza, significa uscire da sé per vivere la dimensione di un incontro, come già l’avevano già perfettamente intuito gli antichi. Secondo questa prospettiva, credo fondamentale per la Chiesa riprendere quel ruolo di committenza che l’aveva caratterizzata per tanti secoli perché sappia farsi interprete, insieme agli artisti, delle speranze dell’uomo di oggi contro i troppi messaggi di chiusura, di superficialità, di stordimento o di degradazione. È quanto nel piccolo, si cerca di fare con la Galleria San Fedele di Milano e desidera cominciare con la Raccolta Lercaro di Bologna.Già da alcuni anni, sia con artisti affermati che con giovani autori, cerco di riflettere su alcune tematiche di carattere sacro. Mi pongo come committente di un’opera d’arte sacra (per quello che le possibilità economiche lo consentono�), a partire da una richiesta precisa. Chiedo in questo modo all’artista: come è possibile oggi interpretare un’Annunciazione o una Crocifissione? Con quale linguaggio? Molti sono i problemi. La prima difficoltà è in relazione ai contenuti. Oggi più che mai c’è una sorta di perdita di memoria nei confronti dei soggetti di arte sacra. E questo vuole dire incapacità di trasmettere il passato per progettare il futuro. È questa perdita di memoria che fa diventare, per esempio, la didascalia di una scena di Battesimo di Cristo in quella di Uomo con sopra il capo una colomba e vecchio con triangolo� Fatto realmente accaduto in ambienti accademici tra i più sofisticati� L’altra difficoltà è in ordine al linguaggio. Si tratta, infatti, di scimmiottare una scena sacra secondo lo stile rinascimentale o barocco, magari con tocco di pennellata alla Picasso o alla Bacon per mostrarsi aggiornati – come si vede troppo spesso alle varie Biennali di arte sacra on tantissime chiese – o bisogna piuttosto cogliere quei contenuti di senso che ci sono stati tramandati dalla tradizione e interpretarli a partire dal nostro linguaggio, dal nostro modo di leggere la realtà che ci circonda? Troppo spesso fare un’opera di are sacra significa prendere un’iconografia consolidata e “aggiornarla”� Le opere più drammaticamente non riuscite di oggi sono proprio quelle che sono concepite come improbabili e casuali collages di citazioni di arte bizantina, rinascimentale o barocca. Sintomo tragico del vuoto spirituale contemporaneo� La finalità di un lavoro su commissione è quella di seguire l’artista in un processo che gli permetta di comprendere il significato del compito che gli è stato affidato. E non si può fare se non c’è un’attenzione (meglio uno studio approfondito) al testo biblico che dovrebbe essere il punto di riferimento per la rappresentazione. Troppo spesso l’artista richiede di interpretare il soggetto a suo modo. Talvolta, infatti, il vincolo di un contenuto preciso viene vissuto come un’insopportabile limitazione alla propria creatività, dimenticando che i più grandi capolavori dell’arte sono proprio nati da vincoli apparentemente molto forti. Che l’artista debba fare l’opera di getto, secondo l’ispirazione del momento è un surrogato romantico al quale ormai solo pochi artisti fingono di credere (ci credono molto quelli la cui galleria chiede tanti lavori e in fretta�). All’artista, nel momento in cui accetta una commissione di arte sacra, è richiesto invece di mettersi in un atteggiamento di grande serietà e umiltà. Questo non significa dimenticare il proprio vissuto, la propria poetica. Al contrario, partendo dal proprio modo di essere artista, ci si deve chiedere: a chi è rivolta l’opera che sto realizzando? A un gruppo di fedeli? Quale è il significato di quello che sto elaborando? In che modo interpella la mia vita? A quale dimensione di senso mi chiede di confrontarmi? Il lavoro su commissione è un compito molto difficile. Il mio desiderio è quello di creare un piccolo laboratorio, un luogo di sperimentazione. Si comprende perché l’interesse non è solo rivolto alla realizzazione dell’opera ma al cammino percorso. In questo senso, desidero collaborare con gli artisti a riflettere, a pensare, ad approfondire il senso di quanto stanno facendo, a non accettare le soluzioni immediate e convenienti. Credo che un’opera d’arte sacra possa essere realizzata solo se vissuta in profondità. Rappresentare una Crocifissione senza essersi mai chiesti il senso del dolore, della morte, del perché della violenza� temo sia molto difficile. Se non c’è una profondità di esperienza di vita, l’opera dell’artista rimarrà sempre in superficie. Una scatola vuota dentro la quale, come troppo spesso si dice oggi, ciascuno ci legge quello che vuole. Perché tanto non dice nulla� L’artista è chiamato a interiorizzare il rapporto tra arte e vita. Così come è invitato a confrontarsi con i grandi temi della storia che sempre l’uomo ha affrontato. Approfondire l’esperienza dell’arte significa attraversare gli abissi del nostro esistere, non cessare mai di ricercare il senso delle cose, dei perché del nostro nascere e morire… Significa mettersi in gioco, con generosità, passione e coraggio. Altrimenti non ci sarebbe che� il vuoto di un'”arte”, un’inutile e informe cozzaglia di colori, di forme� Tragici spazi d’indifferenza che si insinuano in tutti i settori della cultura in cui ha ragione chi viene pagato di più perché� grida più forte. – – Presentazione del corso della diocesi dedicato all’arte sacra contemporanea