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Paura: percezione o realtà?

L'opinione pubblica chiede sempre più sicurezza. Una domanda da accogliere, comprendere ed educare. Il parere del criminologo Stefano Caneppele

5 Giugno 2008

16/05/2008

di Pino NARDI

«La criminalità economica può fare molti più danni di quella di strada, ma la percezione della paura è provocata dalla seconda. Eppure non si può non considerare la preoccupazione dell’opinione pubblica, anche se non corrisponde sempre a un dato reale. Ed è giusto che la politica dia risposte». Lo sostiene Stefano Caneppele, docente esperto di criminologia e coordinatore dell’area sulla sicurezza urbana di Transcrime, centro di ricerca dell’Università degli Studi di Trento e della Cattolica di Milano.

C’è un’emergenza sicurezza?
Il termometro per misurare lo stato della sicurezza oggettiva è dato dal numero delle denunce. Tuttavia dobbiamo distinguere tra la dimensione oggettiva e la sicurezza soggettiva. La percezione a volte è sganciata dalla realtà, l’allarme sociale è provocato da una costruzione mediatica. Però bisogna tenerne conto e mettere in campo politiche che intervengano anche a livello di rassicurazione sull’insicurezza percepita, che diventa di fatto la realtà.

Qual è la situazione oggettiva?
Negli ultimi 15-20 anni gli omicidi in Italia sono in calo. Invece le frodi informatiche attraverso internet hanno avuto un aumento vertiginoso. Per le altre tipologie di reato tendenzialmente la situazione è di relativa stabilità, sotto la media europea, come nei furti in appartamento. Rispetto agli altri Paesi manteniamo invece il record negativo delle rapine in banca.

E a Milano?
Il dato di Milano è in linea con una situazione che non possiamo definire né di emergenza, né di allarme dal punto di vista della sicurezza. È chiaro che in una città di un milione e 200 mila abitanti non è che non possano avvenire violenze sessuali. Ecco però un esempio eclatante della distorsione: noi sappiamo, dalle indagini con interviste telefoniche – che tengono conto anche del fatto che non si denunci -, che su 100 violenze sessuali 80 vengono commesse all’interno di una dinamica familiare e di prossimità. In realtà, se si guarda la ricostruzione fatta dai giornali, il modello di frequenti violenze sessuali sembra essere quello dello sconosciuto che ti ferma nella metropolitana e poi ti violenta. Questo è l’esempio di come i media costruiscono una parte di emergenza.

Le radici del disagio sono più profonde?
Oggi la situazione delle famiglie è più fragile nelle relazioni sociali rispetto a 20-30 anni fa: diventano più piccole in termini numerici, aumentano la disgregazione familiare e i divorzi, le persone sole fanno più fatica a creare reti, a essere supportati, quindi cresce anche il livello di vulnerabilità e l’insicurezza. Il nostro Paese sta invecchiando, il numero di over 65 anni continua ad aumentare: nell’età anziana le persone si sentono più insicure, hanno più paura, anche se in realtà sono quelle che subiscono meno reati. È un altro paradosso: se si guardano le statistiche emerge che la fascia di età più esposta è quella tra i 15 e i 25-30 anni, sia a subire reati sia a commetterli.

Immigrato clandestino uguale delinquente? Su questo si è creata anche una fortuna elettorale. Che ne pensa?
C’è stato il timore di non dire che la condizione di irregolarità dell’immigrato oggettivamente lo avvicina a circuiti di illegalità. Lo straniero, che ufficialmente non esiste, non può chiedere aiuto alla polizia, non va neanche al pronto soccorso perché ha paura di essere individuato, non può trovare un lavoro regolare perché non ha documenti. Tutto questo lo avvicina a circuiti di illegalità. Che non significa che l’immigrato irregolare viene in Italia per commettere un reato, ma che la condizione di clandestinità avvicina giocoforza all’illegalità. Si sviluppano inoltre dinamiche di lavoro nero, dove l’immigrato è una vittima che viene sfruttata, ma anche di criminalità vera e propria, dove è anche autore di reati. In questo senso l’irregolarità provoca criminalità.

Una risposta solo di ordine pubblico?
La risposta di ordine pubblico è di tipo emergenziale, ma non è in grado di soddisfare questa domanda di sicurezza. Si tratta di mettere in campo politiche che abbiano un respiro più ampio, che non la semplice tolleranza zero o gli sgomberi. Da solo questo non basta, perché non risolve la questione. Si lancia un messaggio di rassicurazione, però poi rischia che venga frustrato, perché il problema si ripropone da un’altra parte. È necessaria invece una risposta complessa a una domanda complessa. Infatti un altro dato importante è il welfare in grado di ammortizzare le insicurezze, che non sono solo quelle provocate dalla criminalità, ma anche sociali come la precarietà, la condizione anziana di isolamento, il bisogno di sostegno delle famiglie per l’istruzione, per gli asili nido, per l’edilizia popolare che mettano in condizione di vivere in una casa pagando un affitto accesibile.