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Esteri

Afghanistan e Iraq: come “mettersi in mezzo”?

Non si può fuggire, ma neppure solo sparare

di Riccardo MORO Redazione

24 Febbraio 2010

Drammaticamente ogni nuovo episodio sembra allontanare, in Afghanistan, le prospettive di una pace duratura. Nonostante le intenzioni e le molte parole spese dalla politica, gli eventi sembrano seguire una dinamica perversa che aggiunge quotidianamente dolore al dolore. Ci riferiamo al recentissimo “errore” delle forze Isaf, l’International Security Assistance Force creata in ambito Nato sotto la guida degli Usa. Sospettando la presenza di talebani, domenica 21 febbraio le forze Isaf hanno colpito un gruppo di cittadini afghani rivelatosi composto da civili senza legami con le milizie che si oppongono al regime, uccidendone almeno 27. A queste morti si sono aggiunte quelle di lunedì 22 e martedì 23 febbraio tra i soldati americani, che hanno portato a oltre mille le vittime militari americane dall’inizio della guerra.
In mezzo a queste vicende dolorose il presidente Karzai ha modificato la legge che compone la commissione elettorale nazionale responsabile di giudicare i ricorsi contro eventuali brogli. Karzai è stato eletto l’anno scorso in un voto molto contestato, in cui gli osservatori internazionali giudicarono falsa l’attribuzione di almeno un terzo dei consensi, quantità ampiamente sufficiente a ribaltare il risultato elettorale. Oggi, con una spregiudicatezza ragguardevole, riforma la legge elettorale sfruttando un’incertezza del dettato costituzionale, eliminando le rappresentanze dell’opposizione e stabilendo che la nomina dei 5 membri che dovranno decidere sulla regolarità delle elezioni siano nominati direttamente dal presidente, cioè da lui.
Non paia indelicato accostare le morti alla nomina dei membri di una commissione elettorale. L’Afghanistan ha bisogno di pace. E la pace può essere costruita solo da una comunità riconciliata. Ogni gesto che ferisce i corpi, le intelligenze e i cuori allontana questa riconciliazione. L’uccisione lo fa in modo più violento e angoscioso, la truffa in modo non cruento, ma tendenzioso e umiliante. Drammaticamente ogni nuovo episodio sembra allontanare, in Afghanistan, le prospettive di una pace duratura. Nonostante le intenzioni e le molte parole spese dalla politica, gli eventi sembrano seguire una dinamica perversa che aggiunge quotidianamente dolore al dolore. Ci riferiamo al recentissimo “errore” delle forze Isaf, l’International Security Assistance Force creata in ambito Nato sotto la guida degli Usa. Sospettando la presenza di talebani, domenica 21 febbraio le forze Isaf hanno colpito un gruppo di cittadini afghani rivelatosi composto da civili senza legami con le milizie che si oppongono al regime, uccidendone almeno 27. A queste morti si sono aggiunte quelle di lunedì 22 e martedì 23 febbraio tra i soldati americani, che hanno portato a oltre mille le vittime militari americane dall’inizio della guerra.In mezzo a queste vicende dolorose il presidente Karzai ha modificato la legge che compone la commissione elettorale nazionale responsabile di giudicare i ricorsi contro eventuali brogli. Karzai è stato eletto l’anno scorso in un voto molto contestato, in cui gli osservatori internazionali giudicarono falsa l’attribuzione di almeno un terzo dei consensi, quantità ampiamente sufficiente a ribaltare il risultato elettorale. Oggi, con una spregiudicatezza ragguardevole, riforma la legge elettorale sfruttando un’incertezza del dettato costituzionale, eliminando le rappresentanze dell’opposizione e stabilendo che la nomina dei 5 membri che dovranno decidere sulla regolarità delle elezioni siano nominati direttamente dal presidente, cioè da lui.Non paia indelicato accostare le morti alla nomina dei membri di una commissione elettorale. L’Afghanistan ha bisogno di pace. E la pace può essere costruita solo da una comunità riconciliata. Ogni gesto che ferisce i corpi, le intelligenze e i cuori allontana questa riconciliazione. L’uccisione lo fa in modo più violento e angoscioso, la truffa in modo non cruento, ma tendenzioso e umiliante. Due guerre non volute Di fronte a queste contraddizioni ci si chiede se occorre lasciare immediatamente l’Afghanistan e l’Iraq, dove la situazione non è molto migliore. Grazie all’arroganza futile di leader come Tony Blair e George W.Bush, oggi siamo invischiati in due guerre che l’opinione pubblica dell’Occidente non voleva. E proprio per questo esiste la tentazione di “distinguersi” dalle responsabilità di chi ha creato questa condizione perversa di sistematica violazione della dignità dei più deboli.Occorre una visione diversa. Per quanto si aneli a una condizione di perfezione, dobbiamo fare i conti con la realtà e con i limiti della nostra condizione umana. Fuggire sarebbe più facile, ma significherebbe lasciare il campo alle milizie ignoranti dei violenti, o alle ambizioni di governanti che profittano dei loro cittadini anziché servirli.Non è fuori luogo che quest’anno il premio Nobel per la pace sia stato attribuito a Obama, il “comandante in capo” di un Paese esposto militarmente su due fronti caldissimi come Iraq e Afghanistan. Come tutti noi il presidente Usa vive oggi le contraddizioni tra ciò che si auspica e ciò che si può oggettivamente fare. E costruire la pace in Afghanistan e in Iraq significa non lavarsi pilatescamente la mani. Occorre rimanere. Ma non con l’arroganza degli spari. Occorre capire che cosa significhi oggi “mettersi in mezzo”, come diceva il cardinale Martini, e compromettersi.La memoria del sangue versato il 21 febbraio durerà a lungo. Per elidere il desiderio di vendetta o la disperazione, e trasformarli in faticoso contributo alla comunità occorrono molti sforzi, delicati, e tempo. Tre passaggi sono irrinunciabili.1) Verificare immediatamente e pubblicizzare le regole d’ingaggio. Tutti devono conoscere che regole si danno i militari della Nato, a cominciare dai cittadini afghani.2) Occorre immediatamente rimuovere dagli incarichi i responsabili dell’attacco. Abbiamo assistito a un penoso balletto di responsabilità con voci anonime dell’ambiente Isaf che accusavano prima gli olandesi e poi gli americani. In un esercito le gerarchie sono chiare. I responsabili devono essere rimossi e i familiari delle vittime lo devono sapere.3) Occorre aumentare l’investimento in cooperazione, che già esiste, ma non è paragonabile al peso di quello militare. E la cooperazione deve garantire protagonismo locale, non rinnovare l’immagine di stranieri che impongono il loro stile di vita, per quanto questo possa essere garbato verso piccoli e deboli. A questa prospettiva non c’è alternativa.Da parte italiana in questi giorni si è polemizzato per la mancata nomina dell’italiano Ettore Sequi ad ambasciatore Ue in Afghanistan. Più che discutere di posti sarebbe bene parlare con misura e insistere, pubblicamente, su queste poche, e limitate, azioni di riconciliazione. La pace si costruisce ricostruendo relazioni di riconoscimento di dignità e reciprocità, ricostruendo fiducia, non spartendosi posti.