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Famiglia e diaconia/3 VERGINITÀ E MATRIMONIO

9 Ottobre 2007

Il vescovo sceglie il diacono e lo ordina come collaboratore perché manifesti ed eserciti con lui la funzione del Cristo sposo. Il diacono riceve la missione di rendere percettibile ai cristiani che il Cristo oggi agisce, tramite il ministero diaconale, come uno “sposo che ama la sua chiesa”.

L’esortazione che il vescovo fa al diacono nella preghiera di ordinazione: l’esempio della loro vita, generosa e casta, sia un richiamo costante al Vangelo e susciti imitatori nel tuo popolo santo. Sostenuti dalla coscienza del bene compiuto, forti e perseveranti nella fede, siano immagine del tuo Figlio…, mette in relazione fedeltà al Vangelo (alla Parola), castità di vita, testimonianza della fede incrollabile nel Cristo ed esercizio del ministero che stimola il fervore del popolo di Dio.

L’espressione “forti e perseveranti nella fede nel Cristo” ci porta a riflettere in primo luogo che il diacono è testimone del contenuto del Vangelo che proclama, della conoscenza che esso dona. Ora, la Parola richiede una vita nella castità (Mt 5, 31-32): essere fedeli alla castità è essere fedeli alla Parola. Nello stesso tempo, il diacono è testimone della potenza della Parola. Vivendo nella castità, il diacono è testimone della potenza della parola di Dio, che rende possibile all’uomo ciò che gli era impossibile con le sue sole forze.

La castità dello sposo, dunque, non è astinenza. È amore rispettoso della sposa, che non è bramosia, dominio, possesso, ma dono di sé e tenerezza. La castità manifesta come il diacono deve esercitare la sua funzione sacramentale per rendere percettibili la presenza e l’azione di Cristo sposo della sua Chiesa. “Il matrimonio – diceva don Divo Barsotti – è una scuola e deve insegnare ad essere casti, è cammino alla verginità”.

In questo contesto mi sembra interessante l’apporto sacramentale del diacono celibe. La tradizione del ministro ordinato, consacrato nel celibato è costante nella chiesa. Dopo il Concilio Vaticano II che riafferma la convenienza del celibato per i presbiteri (PO, 16), il Pontificale romano (1972) applica al diacono che sta per essere ordinato nel celibato gli insegnamenti di questa tradizione.

La sposa del diacono celibe è la chiesa, sposa di Cristo. Col celibato, egli evoca l’«arcano sposalizio istituito da Dio e che si manifesterà pienamente nel futuro per il quale la chiesa ha come suo unico sposo Cristo» (PO, 16). Col suo «impegno definitivo, significa che la sua anima è dedita al Cristo-Signore, in vista del regno celeste, al servizio di Dio e degli uomini».

Egli esprime in questa maniera la carità pastorale. Testimonia «di fronte agli uomini di volersi dedicare esclusivamente alla missione di condurre i fedeli alle nozze con un solo sposo, e di presentarli a Cristo come vergine casta» (PO, 16).

In effetti, «spinto da un amore sincero per il Cristo, egli conduce una vita intieramente offerta, consacrata al Cristo in modo nuovo e privilegiato» e così «con un amore incondizionato può con maggior facilità attaccarsi al Cristo e impegnarsi più liberamente nel servizio di Dio e degli uomini e lavorare con maggiore disponibilità all’opera divina della redenzione». (Pontificale)

Con la sua vita offerta e con il suo comportamento, egli esprime ai fratelli, agli uomini, «che Dio deve essere amato più di ogni cosa» e «servito al di sopra di tutto in tutte le cose». Consacrato al Cristo e alla sua sposa (la chiesa) con lo stato della sua vita consacrata nel celibato, egli testimonia l’unico amore di Cristo per la sua chiesa.