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Intervista

«I ragazzi in classe
ritrovano il senso di sé e di Dio»

Don Michele Di Tolve, responsabile del Servizio Irc della Diocesi, sull’autentico valore dell’ora di religione

di Francesco CHIAVARINI

27 Gennaio 2013

Don Michele Di Tolve è responsabile del Servizio per l’Insegnamento della religione cattolica della Diocesi di Milano.

Perché un ragazzo non credente dovrebbe scegliere l’ora di religione in una scuola statale?
Innanzitutto perché, anche lui, cerca in fondo una risposta alle domande che si fanno tutti sul senso di sé, degli altri, del mondo, di Dio. Poi perché non può conoscere davvero la cultura occidentale se non conosce la religione che l’ha plasmata. Già Goethe diceva che la lingua materna dell’Europa è il cristianesimo. Si pensi a che cosa una persona può capire oggi della nostra lunga tradizione artistica, se non possiede anche solo una superficiale conoscenza delle Sacre Scritture. Ma dico di più. Senza la consapevolezza di che cosa è stato il cristianesimo e della novità che ha portato nel mondo, non si potrebbe nemmeno capire perché oggi in Europa e in Occidente diamo per scontati certi diritti alla base della nostra civile convivenza.

Anche un approccio della religione non confessionale ma identitario, come vuole essere quello della religione cattolica in classe, non rischia di perdere di senso in un contesto sempre più multiculturale e multietnico?
Niente affatto. Anzi è tanto più necessario. Non si conosce mai fino in fondo l’altro, se non si conosce prima di tutto se stessi. Questo vale in particolar mondo per la dimensione religiosa. Quanto impariamo dell’islam e dell’ebraismo, ad esempio, conoscendo a fondo il cristianesimo.

Chi è cattolico, non potrebbe ritenere tutto sommato superfluo un insegnamento non confessionale della religione che già professa?
Non credo proprio. Anzi proprio un approccio non confessionale (non catechistico) alla sua religione lo aiuta a rafforzarlo nella fede, insegnandogli a rendere ragione di ciò in cui crede. Per una famiglia e una comunità cristiana, formare i cristiani a una fede adulta è anche il miglior modo per prepararli al confronto e al dialogo oggi sempre più necessari con coloro che si riconoscono in altre tradizioni religiose. A ben vedere è così che si favorisce la convivenza pacifica, che per i cristiani si dice “fraterna” e si combattono anche pericolose derive da una parte e dall’altra.