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Lavoro “recluso” a Bollate GETTARE UN SEME OLTRE LE SBARRE

9 Ottobre 2007

Riconcilarsi con il proprio errore, tentare di ricostruirsi una vita “nuova” è possible anche in carcere. Nel penitenziario milanese di Bollate cinque detenuti, opportunamente formati, lavorano per una società che ripara computer giunti al termine del loro ciclo vitale. Un lavoro “ecologico”, dunque, ma soprattutto ad alto valore sociale. «Il carcere non è una lavatrice che magicamente ripulisce le persone che ospita. Funziona solo se è un’istituzione aperta all’esterno», ha detto Lucia Castellano, direttrice dell’istituto di pena.

Cinque detenuti all’opera da subito nel settore dell’alta tecnologia che saliranno a quindici entro il 2007. È un’attività d’eccellenza nel campo del lavoro recluso quella che coinvolge il carcere di Milano Bollate. La società Pcdet srl ha trovato un accordo con l’amministrazione penitenziaria per la formazione e l’occupazione di detenuti ospitati nel carcere: in un capannone di 700 metri quadri all’interno del penitenziario, su 70 postazioni diverse lavoreranno detenuti selezionati dalla società. Tre formatori esterni si preoccuperanno della loro istruzione professionale trasformandoli in mulettisti, riparatori di monitor e di computer.

L’iniziativa presenta almeno tre caratteristiche che la rendono “esemplare” nel campo dell’economia sociale: infatti la Pcdet srl si occupa di trattare apparecchiature elettroniche che sono giunte o stanno giungendo alla fine del loro ciclo di vita; il lavoro è quindi “ecologico” perché consiste nel far tornare come nuovi computer, stampanti ed elettrodomestici altrimenti destinati alle discariche.

Secondariamente Pcdet srl ha tra i suoi scopi statutari proprio quello di dare lavoro ai detenuti e il rapporto con il carcere di Bollate, per statuto, si profila di lungo periodo. Infine il 10% degli utili dell’attività della società verranno donati a Cura e sorriso onlus, un’associazione che fa capo all’istituto Mario Negri di Milano e che si occupa specificamente dei bambini affetti da Sindrome emolitica uretica, malattia rara che provoca insufficienza renale.

«Il carcere non è una lavatrice che magicamente ripulisce le persone che ospita – ha sostenuto Lucia Castellano, direttrice dell’istituto -. Funziona solo se è un’istituzione aperta all’esterno. Ugualmente il lavoro in carcere funziona solo se lo stile di lavoro proposto è identico a quello che si trova all’esterno. Per questo è importante che vengano dentro al carcere le aziende; e che ci impongano il loro stile di lavoro».

«I detenuti sono assunti con un contratto assimilato ai metalmeccanici – spiega Ettore Menicucci, amministratore delegato Pcdet srl – e la formazione che forniamo dà loro più possibilità di trovare un lavoro una volta usciti». E Danilo Falappa, presidente di Life tool technologies, società che supporta Pcdet fornendo prodotti elettronici da riparare e reinserire sul mercato. «Avrei potuto far svolgere questa attività in Cina, dove i miei prodotti sono realizzati –spiega Falappa -, ma crediamo nell’importanza dell’iniziativa e nel suo valore di responsabilità sociale. Per questo aderiamo con entusiasmo».