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Nell’atletica

Doping di Stato, lo scandalo russo

Prima della Russia, che ora si difende e rigetta tutte le accuse, c’erano stati i casi dei Paesi dell’Est, che negli anni Settanta usavano gli atleti come cavie da laboratorio

di Leo GABBI

16 Novembre 2015

Un’etichetta che ha del mostruoso quella del “Doping di Stato”. Eppure la massima autorità mondiale dell’atletica leggera, la Iaaf (International association of athletics federations), ha bollato così la politica sportiva della Russia, calando una scure pesantissima su tutti i suoi atleti: alcuni dovranno restituire le medaglie vinte ai Giochi olimpici di Londra, e si rischia addirittura l’esclusione totale della squadra dalle future Olimpiadi di Rio. Veleni, sospetti, raggiri, truffe: ma cosa sta accadendo al nostro sport?

Stavolta non possiamo neanche dire che si tratta di un fatto italiano, qui c’è in gioco la credibilità globale di istituzioni, la cui commistione con sponsor, fiumi di denaro e scorciatoie chimiche sta mettendo a serio rischio tutto il mondo dello sport. Quella che un tempo era definita etica sportiva è stata non solo calpestata da furbi e furbetti che almeno un tempo si pensava fossero isolati (un caso eclatante, quello di Lance Armstrong che beffò tutti, trionfando da dopato, per sette volte al Tour de France). Ora invece ci si mettono logiche di Stato, che secondo le accuse della Commissione d’inchiesta indipendente Wada (World anti-doping agency), hanno reso possibile che uno Stato si rendesse complice dei suoi atleti, fornendo anche le adeguate coperture per non essere scoperti.

Prima della Russia, che ora si difende e rigetta tutte le accuse, c’erano stati i casi dei Paesi dell’Est, che negli anni Settanta usavano gli atleti come cavie da laboratorio, per spingerli a infrangere record sempre più audaci: per la gloria erano disposti anche a sacrificare la salute stessa dell’atleta, così come avvenne per le famose nuotatrici della Ddr o per le pesiste e le lanciatrici di Bulgaria e Romania, imbottite di ormoni e steroidi. La storia quindi si ripete, ma il timore è che lo scandalo russo possa essere solo il primo passo verso la scoperta di nuovi intrallazzi che metterebbero allo scoperto altri traffici, coinvolgendo quindi altre nazioni e minando alla base la disputa delle prossime competizioni. Già così, ormai, lo spettatore guarda con sempre maggiore sospetto la disputa di determinate gare, ora la vittoria e la sconfitta di un atleta rischiano di essere accompagnate da un alone di scetticismo che potrebbe accompagnarlo per anni.

Poco o nulla è servito a Mosca chiudere immediatamente il laboratorio anti doping su cui si erano concentrate le indagini o le dimissioni del suo direttore Grigori Rodchenkov, sui cui graverebbero pesanti responsabilità sull’attività di 1.417 atleti, che ora dovranno fare anche i conti sui riflessi della loro salute. Il caso Russia arriva al termine di un annus horribilis per lo sport mondiale, che esce distrutto da una serie di scandali senza precedenti: dal blitz anticorruzione che ha decapitato i vertici Fifa nel calcio, al cosiddetto “biscotto spagnolo” del Mondiale MotoGp che ha vanificato le speranze di vittoria di Valentino Rossi, senza contare i conti che il calcio nostrano ha ancora in sospeso con il fenomeno scommesse che è stato tutt’altro che debellato. Occorre agire con fermezza, facendo pulizia senza guardare più in faccia a nessuno, prima che non sia troppo tardi, ammesso che l’ultimo treno non sia già passato.