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Bosisio Parini

«Disabili in famiglia,
laboratorio di vita cristiana»

Nella tavola rotonda a “La Nostra Famiglia”, un vescovo, un campione paralimpico, una volontaria e un insegnante sudanese concordano: «La disabilità non impedisce un'esistenza piena»

di Marcello VILLANI

31 Maggio 2012

A Bosisio Parini, dove ha sede “La Nostra Famiglia”, si è tenuto il convegno “Famiglia, lavoro e mondo della disabilità”, con la partecipazione di monsignor Franco Giulio Brambilla (vescovo di Novara) e le testimonianze di Santino Stillitano (portiere della Nazionale di ice sledge hockey), Valentina Bonafede (operatrice dell’Ovci, organismo di volontariato per la cooperazione internazionale) e Abu John Wani (insegnante di arabo nella scuola elementare diocesana di Juba nel Sud Sudan). Ha moderato Luciano Moia, giornalista di Avvenire.

Dopo il benvenuto di Alda Pellegri, presidente dell’associazione “La Nostra famiglia”, monsignor Brambilla, ha parlato della famiglia con figli disabili come di «un laboratorio di vita cristiana e di vita civile e sociale»: «La nascita di un figlio disabile muta totalmente la prospettiva di vita della famiglia, della coppia. La riprogettazione della propria esistenza è un piccolo laboratorio di vita cristiana ed ecclesiale e persino di vita civile e sociale». Monsignor Brambilla ha concluso: «Non possiamo essere veramente uomini senza i deboli, i poveri. E i disabili sono poveri in maniera permanente».

Il campione Santino Stillitano, affetto da agenesia della gamba destra, ha raccontato come si possa comunque arrivare ai vertici sportivi. Portiere della Nazionale di ice sledge hockey, campione alle Paralimpiadi di Vancouver 2007, si sta preparando ai Mondiali 2012. «Mi sento una persona completamente realizzata, perché sono riuscito a trovare nello sport e nella famiglia (ha tre figli, ndr), lo spazio in cui esprimere la ricchezza del dono della vita. Qualcuno ci chiama campioni della vita, ma i limiti fisici non ci impediscono di esprimerci come persone».

Per i circa 600 presenti Abu John Wani ha rivissuto la sua storia di padre di sei figli e insegnante alla scuola elementare di Juba. Per la prima volta, con grandi difficoltà, è uscito dal suo Paese per raccontare come nel Sud Sudan – che viene da 30 anni di guerra – le disabilità siano il frutto delle mine antiuomo inesplose e della povertà. «Nel mio paese la disabilità viene vissuta come una vergogna. Il disabile viene emarginato e lasciato sopravvivere». Fortunatamente nel Juba dal 1983 opera l’Ovci – “La nostra Famiglia”, con il “Centro di riabilitazione per bambini disabili”: fisioterapisti, logopedisti, terapie occupazionali, un asilo per bimbi disabili, un servizio sanitario di base e un programma specializzato per “Cure madre e figlio”.

Valentina Bonafede dell’Ovci ha inquadrato la disabilità come «condizione esistenziale positiva, partendo dalla sfida della sofferenza che nella fede induce una maturazione a livelli alti». «La disabilità non impedisce la possibilità di pienezza di vita e di scelte ardite – ha spiegato Bonafede -, di espressione di libertà del proprio essere fisico e di libertà interiore». La comunità delle Piccole Apostole della Carità, della quale fa parte, ha poi fornito all’esperienza lavorativa di Valentina anche il dono della fede, «da ridonare con il valore aggiunto del “far bene il bene”».

Nel finale è stata proiettata la videointervista con il filosofo Jean Vanier, fondatore delle comunità “L’Arca” e “Fede e Luce” (dedicate ai disabili e attive, rispettivamente, in 33 e 80 Paesi). Vanier ha sottolineato: «Attraverso i meccanismi di difesa di solito cerchiamo di coprire la nostra vulnerabilità perché non vogliamo far vedere alla gente che siamo vulnerabili. E i più vulnerabili sono i genitori dei bambini disabili. Le persone con disabilità svelano la vulnerabilità del nostro essere. Solo se accettiamo la nostra vulnerabilità possiamo accettare anche la vulnerabilità dell’altro».